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Operazione anfibi, il Wwf in cerca di volontari

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anfibi wwfL'innalzamento di temperatura e le piogge di questi prossimi giorni risveglieranno gli anfibi: rane, rospi e tritoni infatti, dopo aver svernato al riparo sotto qualche pietra o nella lettiera dei boschi, iniziano le consuete migrazioni riproduttive che li porteranno nei pressi delle zone di ovodeposizione. Questi luoghi sono in genere costituiti da piccole raccolte d’acqua, pozze, piccoli laghetti e acquitrini. Tutto questo affascinante movimento naturale si svolgerebbe senza alcun problema, come è sempre stato per milioni di anni, se negli ultimi decenni l’uomo non avesse inventato le automobili e avesse riempito il territorio di strade e altre infrastrutture. Infatti sempre più spesso questi piccoli animali, che costituiscono un importantissimo e insostituibile anello del nostro ecosistema, sono costretti ad attraversare una strada cercando di raggiungere una pozza o un laghetto ormai divenuti irraggiungibili: purtroppo il risultato è un’altissima mortalità di queste specie che vengono investite lungo le strade, senza essere riusciti nemmeno a vedere il luogo di riproduzione.

Per risolvere con un’azione concreta questo problema, in varie strade in Toscana il Wwf organizza, ormai da ben 24 anni, numerosi interventi di salvataggio. Molti di questi si svolgono nel territorio di Firenze, Prato e Pistoia. Si tratta principalmente di azioni di trasporto manuale, di predisposizione di barriere antiattraversamento lungo i tratti a rischio e, dove è possibile, della realizzazione di sottopassi e stagni alternativi.

Per coloro che vogliono saperne di più e pensano di poter dare, insieme a tante altre persone, il loro piccolo contributo per la conservazione di queste specie, viene organizzata la conferenza pubblica di cui sopra per la promozione delle operazioni di salvataggio con video-proiezione di immagini sugli interventi in atto.

Per informazioni: Comitato per le Oasi  WWF dell’Area Fiorentina - Gruppo Conservazione Anfibi - cell. 338.3994177. Visita anche il sito: proteggereglianfibi.it

di Wwf Toscana

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Dieselgate, Legambiente agli eurodeputati: «Votate contro l’innalzamento dei limiti di emissione»

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bici autoIl prossimo 2 febbraio, come osservava ieri sulle nostre pagine Francesco Ferrante, il Parlamento europeo voterà sulla proposta di revisione delle Real-world Driving Emissions (RDE) avanzata dal Comitato tecnico dei veicoli a motore (CMTV) che permetterebbe di aumentare gli attuali limiti di emissioni inquinanti degli autoveicoli diesel, stabiliti della legge europea.

Per questo oggi Legambiente lancia un appello agli europarlamentari perché respingano questa revisione, «votando in nome dell’ambiente e della salute dei cittadini».

Secondo il Cigno Verde, la proposta del CMTV è in realtà un  “trucco” normativo: «Vengono concesse difformità nelle prove che aumentano in modo significativo le emissioni di NOx per le auto diesel in condizioni di guida reali rispetto a quanto stabilito nel diritto dell'Unione europea nel 2007 (del 110% dal 2017 e del 50% a partire dal 2020). Un modo per autorizzare l’incremento di emissioni dai diesel. Negli Stati Uniti i diesel illegali sono oggetto di diffide e sanzioni, in Europa di sanatorie e condoni».

Per la presidente nazionale di Legambiente, Rossella Muroni, «C’è il pericolo che le lobby automobilistiche colpiscano ancora, rischiando di far approvare limiti più permissivi, addirittura del doppio rispetto a quelli vigenti. Se ciò accadesse sarebbe veramente grave e del tutto assurdo, anche rispetto a quanto accaduto nei mesi scorsi con la vicenda Dieselgate-Volkswagen. Abbiamo bisogno di regole più severe e incisive e di una loro migliore applicazione sulle emissioni, di una loro verifica con test su strada delle auto, ma anche di un’informazione completa su inquinamento e consumi. Ai parlamentari europei chiediamo un voto di responsabilità in nome della salute dei cittadini e dell’ambiente».

Non è certo un problema nuovo, tanto che è persino riconosciuto dalla rete delle Agenzie ambientali, da quella europea, sino a quelle nazionali e regionali. Legambiente presenta una tabella che confronta i limiti alle emissioni che gli autoveicoli di nuova immatricolazione devono rispettare nei cicli di prova ufficiali, con i fattori di emissioni assunti dal catasto delle emissioni della Regione Lombardia (Inemar 2012). «Prendiamo ad esempio un autoveicolo benzina o diesel “Euro 5” – dicono gli ambientalisti - dovrebbe emettere meno di 5 mg/Km di particolato (PM10), mentre le stime ufficiali di emissioni suppongono 26: perché il particolato è originato anche dagli attriti che provocano l'erosione dei pneumatici, dei freni, ecc. Maggiore la differenza nel caso degli NOx, come ha evidenziato lo scandalo dieselgate: un autoveicolo diesel “Euro 5” non dovrebbe emettere più di 180 mg/Km, mentre la stima basata su prove su strada è 705. Importante sottolineare che gli NOx sono un noto precursore della presenza delle polveri sottili nell'aria e il traffico ne è la principale fonte. Inoltre proprio a causa delle elevate emissioni di NOx nel maggio scorso la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese».

Legambiente evidenzia che questi dati «indicano come, di fatto, sia ufficialmente riconosciuto che il traffico veicolare causi molto più inquinamento di quanto sia stato previsto nei Piani di risanamento dell'aria (a livello regionale, nazionale ed europeo) in vigore da 10 anni a questa parte. Praticamente 4 volte di più (sia per le emissioni dirette di PM10, che per gli ossidi d'azoto) e la diffusione dei motori diesel ne sono ancora la principale causa. Il non aver tenuto conto di questi elementi ci ha fatto perdere almeno dieci anni, in cui sia l'industria (automobilistica e dei trasporti) che le autorità di governo europee hanno puntato le loro scommesse a lungo termine (riduzione degli inquinanti e riduzione dei consumi di e di CO2) su motori diesel sempre più efficienti e puliti. È evidente che sarebbe stato più utile puntare sull'ibrido elettrico, sull'elettrico e sul biometano».

 

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Il Giorno della memoria e l’abisso del coraggio

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giorno della memoriaIl 27 gennaio del 1945 l’Armata rossa varcò il cancello del campo di concentramento di Auschwitz, liberando quanti – tra i sopravvissuti – erano rimasti schiacciati dalla lucidissima follia nazista. Questo è ciò che la Toscana e il mondo intero si impegna a ricordare in quella che è semplicemente chiamato Giorno della memoria. Nella nostra Regione, ogni anno questa celebrazione (riconosciuta per legge dal 2000) riesce e incontrare un successo eccezionale. Oltre alle più di 200 iniziative sparse sul territorio, al tradizionale meeting del Mandela forum - che anche oggi si è rinnovato a Firenze - arrivano circa 8mila ragazze e ragazzi.

«Ascoltare la memoria di chi ha subito la persecuzione – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Monica Barni, annunciando il programma regionale per questo Giorno della memoria –, ascoltare e non rimanere indifferenti, questo dico di fare ai giovani: ieri rispetto alla Shoah ed oggi di fronte alle tragedie che si ripetono nel Mediterraneo, che troppo spesso dimentichiamo».

Questo intreccio tra due diversi drammi è stato protagonista oggi, in Toscana. Dalla Regione ricordano che la Toscana  ha accolto numerosi migranti: oltre 6400 tra il 2014 e il 2015, poco meno di duemila migranti dal nord Africa tra il 2011 e il 2012, dopo la prima "Primavera araba". E ai profughi si sommano 395 mila stranieri che vivono nella regione: rumeni, albanesi, cinesi e marocchini i più numerosi.

Agire, oltre che ricordare, è necessario. La libertà, i diritti e la “civiltà” di cui ci facciamo portavoce nel mondo non sono conquiste irremovibili. Dalla Danimarca ci arriva l’esempio più recente. Durante l’Olocausto, il Paese scandinavo ha rappresentato un faro per il mondo. «I danesi – riporta Hannah Arendt nel suo celebre La banalità del male – spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano più cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il permesso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelò un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in sé di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perché il governo danese aveva deciso di difenderli». Ieri il Parlamento danese non ha reso onore alla sua memoria ratificando una legge (81 voti favorevoli, 27 contrari, 1 astenuto) che prevede la confisca agli odierni migranti dei beni superiori a 1.350 euro in loro possesso; un modus operandi che rievoca fantasmi del passato.

«Auschwitz, con i suoi reticolati, le camere a gas, le baracche, i forni crematori non ci abbandona – ha dichiarato da parte sua il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, celebrando il Giorno della memoria al Quirinale – Al contrario, ci interpella costantemente, ci costringe ogni volta a tornare sul ciglio dell'abisso e a guardarvi dentro, con gli occhi e la mente pieni di dolore e di rivolta morale». Ma «chi lotta con i mostri – avvertiva già a suo tempo il filosofo (tedesco)  Friedrich Nietzsche – deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te». In Germania come in Danimarca, in Italia come in Toscana.

A quel che si sa – conclude così la Arendt le sue osservazioni sul caso danese – fu questa l’unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che si trovarono coinvolti cambiarono mentalità. Non vedevano più lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato su una resistenza basata su saldi principi, e la loro “durezza” si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po’ di vero coraggio». Ne avremmo bisogno anche noi, nel Giorno della memoria come in tutti gli altri giorni: la nostra memoria è restare umani.

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La rarissima giraffa bianca che è sopravvissuta a predatori e bracconieri

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Giraffa Bianca 3Nel Tarangire National Park, in Tanzania, nel gennaio 2015 venne avvistato un rarissimo cucciolo di giraffa bianco che ora dovrebbe avere 15 mesi e che è stato riavvistato pochi giorni fa dai ricercatori del  Wild Nature Institute che dicono che questo eccezionale animale è riuscito miracolosamente a sopravvivere agli attacchi di predatori come leoni, leopardi e iene e, soprattutto, ai  bracconieri umani.

Il piccolo di giraffa, che è stato chiamato Omo, come la marca di un detersivo che va ancora per la maggiore in Africa, non è albino ma leucistico, cioè  le sue cellule superficiali del corpo non sono in grado di produrre pigmenti, così una parte o tutta la superficie del corpo resta “bianca”.  Al Wild Nature Institute spiegano che «Un modo per capire la differenza tra gli animali albini e leucistici è che negli individui albini la melanina manca ovunque, anche negli occhi, in modo che il colore degli occhi risulta di colore rosso, a causa dei vasi sanguigni sottostanti».

A differenza degli albini, Omo ha un po’ di colore: la sua criniera è rosso-ruggine, il ciuffo della sua coda e nero e gli occhi sono scuri come quelli della maggior parte delle giraffe, orlati da lunghe ciglia pallide. Come scrive Liz Boatman sulla Berkeley Science Review. «Il leucismo è poco pigmento, che è il motivo per cui gli occhi di Omo sono ancora scuro e che ha ancora sui fianchi un debole pattern di macchie delle giraffe».

Il giovane Omo sembra andare d'accordo con le altre giraffe del suo branco che hanno una colorazione normale che non sembrano curarsi del suo aspetto diverso, anzi, sembrerebbero aver protetto il cucciolo bianco in qualche modo, visto che  sorprendentemente è sopravvissuto per i primi 15 mesi di vita, che sono il  periodo più pericoloso per le  giovani giraffe che possono essere uccisa da un grande carnivoro.

Ma ora Omo deve affrontare un pericolo maggiore, che molto probabilmente lo perseguiterà per tutta la sua vita: i bracconieri umani. Infatti, gli animali bianchi diventare un bersaglio molto ambito di bracconieri e cacciatori semplicemente per il loro aspetto. Nel 2009 The Indipendent denunciò che un  cacciatore tedesco aveva offerto più di 5.400 sterline per poter abbattere un capriolo albino che vive in Gran Bretagna.

I serpenti del grano albini costano di più rispetto ai loro simili colorati e in Brasile sono stati rubati da uno zoo 7 alligatori albini per venderli ai collezionisti. Per non parlare della vera e propria persecuzione degli esseri umani affetti da albinismo che in Africa a volte vengono uccisi e mutilati per realizzare pratiche “magiche” frutto di pregiudizi e razzismo.

Derek Lee, fondatore del Wild Nature Institute, che ha la sua sede ad Arusha, la capitale safari della Tanzania, ha detto a  Sam Wood di Philly.com che  Omo «Ora ha più di un anno di età, le sue possibilità di sopravvivenza nell’età adulta sono buone se non verrà disturbato».

La Giraffa bianca è stata scoperta per caso: lo staff del Wild Nature Institute scatta foto digitali alle giraffe per poi identificarle individualmente con l'ausilio di software di riconoscimento dei modelli unici delle loro macchie. «Stiamo documentando nascite, decessi e movimenti di oltre 2.100 singole giraffe attraverso 4.000 chilometri quadrati di territorio che sono un mosaico di parchi nazionali, allevamenti e Wildlife Ranch turistici, pascoli del bestiame dei Masai e campi agricoli – spiega Lee – Stiamo studiando le giraffe in un territorio in v cui molte persone vivono fianco a fianco con le giraffe, in modo che possiamo imparare dove giraffe stanno bene, dove no e perché, al fine di proteggere e collegare le aree più importanti per la sopravvivenza delle giraffe. Guidiamo lungo .000 km di piste 6 volte all'anno per raccogliere le nostre catture fotografiche e abbiamo trovato Omo durante una delle nostre indagini periodiche». Il piccolo sembra il solo esemplare bianco tra le circa 3.000 giraffe che vivono nell’area del Tarangire.

Per quanto riguarda il rischio bracconaggio, Lee ricorda che «In Tanzania è illegale uccidere giraffe, in quanto sono l’animale nazionale, ma è ben noto che la caccia per rifornire il mercato illegale della carne è dilagante intorno al Tarangire. Purtroppo tutte le giraffe, non solo quelle bianche come Omo, sono minacciate dal bracconaggio di animali selvatici. Fortunatamente, Omo vive in un parco nazionale dove c’è la più alta probabilità di sopravvivenza grazie agli sforzi anti-bracconaggio nella zona. Ci auguriamo che la popolarità di Omo aumenterà la consapevolezza globale sui problemi delle giraffe».

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Eritrea, la dittatura vuole la poligamia obbligatoria e nega la crisi alimentare

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EritreaRispondendo alle preoccupazioni delle agenzie umanitarie dell’Onu, della Fao e dell’Unione europea, il dittatore dell’Eritrea, Isaias Afwerki, ha assicurato che, malgrado la grave siccità che colpisce milioni di persone nel Corno d’Africa «Nessuna crisi alimentare minaccia l’Eritrea».

All’impenetrabile regime eritreo, esportatore di rifugiati e grande alleato delle monarchie assolute del Golfo e dei loro amici occidentali, non sembra far paura El Niño che sta colpendo l’intero Corno d’Africa con un alternarsi di inondazioni e siccità che stanno facendo aumentare il numero degli affamati. Se non si tratta di armi e petrolio, il regime dittatoriale ed isolazionista di Afwerki rifiuta per principio l’aiuto internazionale, vietando l’accesso al Paese anche alle organizzazioni umanitarie e limitando fortemente quello dell’Onu,  e preferisce una politica autarchia di autosufficienza che in realtà costringe la popolazione a sopportare una carenza di cibo che, insieme alla violazione dei diritti umani ed al lunghissimo servizio militare obbligatorio, è una delle cause della fuga dei giovani eritrei verso l’Europa.   Dopo siriani e afghani gli eritrei sono la terza etnia di rifugiati che cercano di arrivare nell’Ue e molti di loro, ricordandosi che l’Eritrea è stata colonia italiana, passano per il nostro Paese.

Ma il ministero dell’informazione di Asmara assicura che «Riguardo all’insufficienza dei raccolti che colpisce tutta la regione del Corno d’Africa, il presidente Isaias ha dichiarato che il Paese non sarà vittima di una crisi nonostante una diminuzione della produzione agricola. Il Presidente Isaias ha reso omaggio alla politica giudiziosa ed all’approccio consistente nell’aumentare le riserve alimentari strategiche».

Nel novembre 2015 l’Onu aveva avvertito che l’Eritrea era tra i Paesi più a rischio tra quelli del Corno d’Africa e che la siccità provocata dal super El Niño nel Corno d’Africa farà crollare la resa dei raccolti dal 50 al 90% e che in alcune zone i raccolti andranno completamente persi. L’Onu stima che in Eritrea avranno bisogno di aiuto alimentare almeno 10 milioni di persone.

Ma la dittatura Eritrea sembra esere preoccupata molto di più da un altro problema: secondo diversi giornali africani, il governo di Asmara ha chiesto agli uomini di sposarsi con più donne, altrimenti finiranno in una delle terribili galere del regime. Quindi in Eritrea la poligamia diventerebbe obbligatoria.

Sulla stampa Africana circola un testo di legge nel quale si dice che «Basandosi sul giudizio di Dio a proposito della poligamia e delle circostanze attuali del Paese (molte più donne che uomini), il dipartimento eritreo degli affari religiosi ha preso le decisioni seguenti. Da subito, tutti gli uomini devono sposarsi con almeno due donne l’uomo che si oppone potrebbe scontare una pena di prigione a vita con lavori forzati».

Ma le minacce non riguardano solo gli uomini rimasti che non sono riusciti a scappare all’estero, sono rivolte anche alle donne, perché il testo di legge precisa: «La donna che cerca di dissuadere suo marito dallo sposare un’altra donna, incorre nella pena di imprigionamento a vita».

La rivoluzione democratica e progressista eritrea è prima finita nelle feroci fauci di Afwerki e della sua famelica cricca militare e oi si è progressivamente “islamizzata”, fino ad arrivare a negare i diritti delle donne che pure sono state una parte importantissima di una guerra di liberazione dall’Etiopia, che avrebbe dovuto portare ad una società più giusta, nella quale uno dei pilastri avrebbe dovuto essere l’emancipazione femminile.

Ora che i giovani uomini scappano in massa dall’Eritrea, la dittatura decide che tutti i maschi devono sposare più donne possibili che devono dare alla Patria in armi più figli possibili per recuperare il calo della popolazione eritrea dovuto alla guerra contro l’Etiopia e alla fuga da un Paese-prigione.

Ma se l’ultima trovata di Isaias Afwerki piacerà sicuramente molto ai suoi uomini, gli ultimi oppositori rimasti nel Paese la vedono come l’ennesima conferma della regressione islamista-dittatoriale del regime, che sembra ispirarsi alle politiche demografiche mussoliniane,  e della continua violazione dei diritti umani, la dittatura eritrea alla fine potrebbe aver scatenato l’ira delle donne, visto che, a quanto pare, molte di loro si sarebbero già pubblicamente opposte alla poligamia di Stato. Speriamo che dai diritti delle donne parta quella frana democratica che seppellisca l’eterna dittatura che opprime un Paese che voleva essere libero nella diversità.

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Val d’Agri, le condotte petrolifere le controlla (visivamente) il Parco?

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Parco Val d'AgriAlcuni lettori ci segnalano che il Parco nazionale dell’Appennino lucano, Val d’Agri, Lagonegrese ha bandito una gara da oltre 3 milioni di euro (Progetto security) per difendersi dai danni dell’estrazione del petrolio che prevede la ricognizione visiva della tenuta delle condotte petrolifere che collegano i pozzi ricadenti nel territorio del Parco.

Un nostro lettore si chiede: «Chi paga? il Parco nazionale e rimborsano Eni e Total? Oppure l'Unione europea o la Regione? E poi, nel 2016 per visionare le condotte utilizziamo prevalentemente le risorse umane? Non ci sono tecnologie efficaci? Ps: che fine ha fatto il Piano del Parco?»

In effetti, nel Capitolato descrittivo del servizio pubblicato dalla Direzione generale area III del Parco nazionale dell’Appennino lucano, Val d’Agri, Lagonegrese (disponibile in allegato) si legge che «il Progetto security mira ad attuare un programma di monitoraggio ambientale e di controllo del territorio, finalizzato ad identificare e pianificare gli interventi da realizzare per risanare situazioni che rappresentano pericoli incombenti e potenziali, che compromettono non solo lo stato di conservazione dei paesaggi, molto spesso caratterizzati da un elevato valore naturalistico o dalla presenza di colture di pregio, ma anche la sicurezza e la salvaguardia del territorio in generale, nonché della salute umana. Il progetto è finalizzato al monitoraggio e controllo a vista delle condotte che collegano i diversi pozzi petroliferi, che rientrano nel territorio del Parco (ma anche nel territorio limitrofo, ndr), con particolare riferimento ai controlli visivi e le rilevazioni ambientali (però nel testo non si parla mai di queste rilevazioni ambientali, ndr), oltre alla valutazione di eventuali situazioni anomale e/o sospette. Nel monitoraggio delle condotte, il parametro principale è la sicurezza, influenzata dall’età e dalle condizioni delle stesse».

Ecco come si prevede che avvengano le attività di controllo visivo e ambientale: «Il monitoraggio e il controllo delle condotte che collegano i diversi pozzi petroliferi ricadenti nel territorio del Parco deve essere effettuato mediante ispezioni visive in loco con l'impiego esclusivo e diretto di risorse umane. L’operatore economico potrà integrare il sistema visivo con ulteriori controlli.  La tipologia di controllo visivo e ambientale si svilupperà nel seguente modo: monitoraggio quotidiano di tutte le condotte petrolifere, consistente nella verifica del loro stato conservativo e del corretto funzionamento per il trasporto di idrocarburi; realizzare un report sullo status delle condotte e sulla sicurezza nelle vicinanze delle stesse, accompagnato da una relazione fotografica.  Qualora durante le ispezioni sopravvengano situazioni sospette e/o anomale, queste dovranno essere comunicate al Responsabile unico dell’Ente parco per le conseguenti verifiche. Gli operatori economici specializzati dovranno essere provvisti di abbigliamento adeguato e per i sopralluoghi presso ciascun sito/area disporranno di opportune planimetrie per la localizzazione delle condotte».

In sostanza si tratta di controllare visivamente - cioè, andare sul posto e guardare - tutti i giorni, per 3 anni, le condotte ricadenti o limitrofe al territorio del Parco. In realtà l’appalto è prorogabile per ulteriori 3 anni per altri 3,5 milioni di euro.

A parte che, come suggerisce un nostro lettore, forse le condotte le dovrebbe controllare chi le ha messe e con le tecnologie avanzate di cui dispone l’industria petrolifera che, dove obbligata, le mette in funzione 24 ore su 24. Quello che viene spontaneo da chiedersi è: com'è possibile che la gestione in sicurezza delle condotte sia a carico dell’Ente parco, il cui compito istituzionale non ci sembra sia quello?

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Le Ghiaie: una illuminazione più sostenibile. Si può fare

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Le Ghiaie illuminateAbbiamo letto con interesse la dettagliata risposta del Geometra Leonardi – crediamo in nome e per conto dell’Amministrazione Comunale di Portoferraio -  al nostro comunicato congiunto sulla nuova ed eccessiva illuminazione alla Ghiaie che provoca, come inequivocabilmente dimostrano le foto, un insostenibile inquinamento luminoso. Noi però abbiamo presentato delle considerazioni di carattere storico, architettonico, paesaggistico e naturalistico, quindi di competenza politica e amministrativa, non tecnica.

Sappiamo bene,  con tutta probabilità da molto prima che il Comune di Portoferraio si occupassero di LED, che l’installazione di illuminazione pubblica di questo tipo comporta un notevole risparmio energetico, quindi ci complimentiamo con l’Amministrazione comunali e con i funzionari che hanno lavorato a questo progetto. Ma sappiamo altrettanto bene che, come possono confermare gli astrofili, che i LED provocano un forte inquinamento luminoso che va gestito. Così come sappiamo, come confermava già nel 2012  lo studio “Conserving energy at a cost to biodiversity?” e come ribadiscono ancora più dettagliatamente altri studi  ancora più recenti riguardanti specie ed habitat, che i LED hanno impatti sulla fauna e sugli habitat molto più forti delle lampadine tradizionali e che tendono ad essere ancora troppo abbaglianti rispetto alle lampade tradizionali..  D’altronde gli effetti della luce, attraenti e disturbanti,  sulla fauna marina sono noti all’uomo fin da quando è stata inventata la pesca.

Ci si permetta quindi di dire che trasformare una questione di buona creanza e semmai di ordine pubblico (i “ bivacchi notturni hanno causato rottura di bottiglie sulla spiaggia e a volte i bagnanti si sono imbattuti in spiacevoli sorprese”) nella necessità di illuminare a giorno una spiaggia e il mare prospicente – che sono in realtà un habitat,  non un quartiere cittadino – è quantomeno singolare, così come è davvero “ardimentoso” dire che si vuole così favorire i tuffi notturni, visto che da che mondo e mondo, e probabilmente da quando gli esseri umani frequentano Le Ghiaie, il fascino dei bagni notturni è quello di farli appunto di notte e non con un’illuminazione a giorno.

E’ quindi indubbio che, a di là di quello che gli ambientalisti, il Geometra Leonardi o gli Amministratori comunali di Portoferraio possano diversamente pensare sull’impatto paesaggistico della nuova illuminazione delle Ghiaie, l’impatto ambientale su una Zona di tutela biologica, che appunto dovrebbe tutelare la fauna marina e costiera che ci vive, è importante e che il disturbo è così evidente da risultare insostenibile.

Inoltre, rimangono per noi valide le considerazioni di carattere estetico dei possenti, alti e abbaglianti lampioni scelti per il lungomare, che, ripetiamo, sono più adatti a una zona industriale o sportiva che non a una zona anche di alto pregio architettonico e culturale.  Si tratta di scelte precise per il futuro di una città che desideri o meno essere riconosciuta e apprezzata per la valorizzazione e tutela delle sue zone di pregio, da Cosmopoli, imponenti proprio sulle Ghiaie, alle rovine romane, alle Residenze Napoleoniche.

Quindi, invitiamo il Geometra Leonardi e l’Amministrazione Comunale di Portoferraio a rivedere non certo la scelta di utilizzare i LED che producono un notevole risparmio energetico e un beneficio economico  per le casse del Comune, ma l’impatto delle luci che illuminano da una parte la città, che va salvaguardata e considerata nel suo insieme come bene di pregio, capace di unire in modo armonico il centro storico e la parte più recente; dall’altra la spiaggia e il mare la Zona di tutela biologica, che va salvaguardata da ogni compromissione, anche luminosa che alteri habitat e abitudini della biodiversità che la Repubblica Italiana ha deciso di proteggere fin dal lontano 1971.

Come conclude il Geometra Leonardi «comunque se abbiamo sbagliato, c’è sicuramente il modo di correggere», secondo Italia Nostra e Legambiente si può fare.

Ci piace condividere allora le conclusioni del Notiziario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica: “Insomma, cambia il colore delle luci, forse si riducono un po’ i consumi, ma quello che davvero serve per ridurre seriamente l’inquinamento luminoso è, banalmente, un uso più intelligente e responsabile dell’illuminazione artificiale”.

Italia Nostra Arcipelago Toscano

Legambiente Arcipelago Toscano

 

ECCO LA RISPOSTA CHE IL COMUNE DI PORTOFERRAIO AVEVA DATO A  ITALIA NOSTRA E LEGAMBIENTE

Dopo l’accensione del nuovo impianto di illuminazione a servizio del lungomare delle Ghiaie, si è dato vita ad un dibatto, al quale sento il dovere di partecipare quale funzionario responsabile dei rapporti con la Soc. Enel Sole, a cui è stata affidata la gestione del servizio di pubblica illuminazione.

Gli interventi che l’Amministrazione di Portoferraio insieme ad Enel Sole, ha eseguito in questi ultimi due anni sono stati volti a efficientare tutti gli impianti di illuminazione pubblica, eliminando tutte le vecchie sorgenti al mercurio e gli apparecchi non cut-off che generavano inquinamento luminoso per rispettare la Legge regionale Toscana n. 39 del 2005.

A seguito degli interventi sono stati installati n. 892 apparecchi a LED e su altri n. 540 apparecchi si è intervenuti efficientando gli stessi mediante la loro sostituzione o il relamping con lampade ai vapori di sodio e lampade agli ioduri metallici di ultima generazione e installando all’interno di ciascun apparecchio dei dispositivi per la regolazione del flusso luminoso.

Gli apparecchi a LED installati hanno tutti una temperatura di Colore pari a 4.000°K, che è quella così detta naturale.
In molte strade l’intervento, ha consentito la diminuzione dei corpi illuminanti presenti, rimuovendo così apparati sovradimensionati, andando ad eliminare ogni forma di inquinamento luminoso e ottenendo dei risparmi energetici anche del 70%.

Nel complesso l’intervento ha portato questi benefici: La potenza installata (solo negli apparecchi sostituiti) era pari a 229 Kw oggi ne abbiamo 120 di Kw, risparmiando 109 Kw pari al - 48%. L’energia assorbita (apparecchi sostituiti) era pari a 1.009.922 kW h/anno, oggi i nuovi apparecchi assorbono 448.984 kW h/anno consentendo un risparmio di 560.938 kW h/ anno che equivale a un –56%. In termini ambientali sono state risparmiate 105 Tonnellate Equivalenti di Petrolio l’anno e sono state ridotte emissioni di CO2 per 415 Tonnellate anno.
Ma veniamo all’intervento alle Ghiaie, gli apparecchi utilizzati rispettano in pieno la legge Regionale sull’inquinamento luminoso, quindi apparecchiature a norma che non provocano nessun danno, specialmente dal punto di vista ambientale.

Nella progettazione dell’impianto sono state esaminate alcune valutazioni;

Per prima cosa la sicurezza della zona, il lungomare delle Ghiaie , a causa di una serie di attività non garantiva più una certa tranquillità, spesso i bivacchi notturni hanno causato rottura di bottiglie sulla spiaggia e a volte i bagnanti si sono imbattuti in spiacevoli sorprese.

E poi quella in termini turistici, cercando di valorizzare la passeggiata, mettendo in risalto il fascino della spiaggia e la sua composizione, sicuramente un’attrattiva specie nei mesi estivi, divenendo in qualche modo un luogo di aggregazione e di ritrovo e sicuro in particolare per i più giovani e poi se qualche ardimentoso decide di fare un tuffo notturno, migliorare complessivamente le condizioni di sicurezza.

A mio parere, siamo riusciti ad assolvere alle problematiche che ci eravamo posti, poi c’è chi non condivide, ma questa è una fortuna, l’omologazione non è una bella cosa.

Ho letto tra le righe in uno degli interventi , che quel cono di luce che lambisce la battigia possa minacciare o disturbare l’habitat di alcune diversità biologiche. Sinceramente in fase esecutiva, l’illuminazione della battigia è stata una scelta per la valorizzazione di un patrimonio ambientale di Portoferraio, comunque se abbiamo sbagliato, c’è sicuramente il modo di correggere.

Geom. Dante Leonardi

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Il “Perturbatore”: alla ricerca del Pianeta Nove nel Sistema solare

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pianeta nove 1Urbain Le Verrier ha percepito il nuovo corpo celeste senza alzare mai gli occhi al cielo: l’ha trovato sulla punta della sua penna” – François Arago, direttore dell’Osservatorio di Parigi, 1846.

Nell’agosto 1846 Urbain Le Verrier, giovane astronomo dell’Osservatorio di Parigi, pubblicò un lavoro volto a spiegare matematicamente le irregolarità riscontrate nell’orbita di Urano, pianeta scoperto nel 1781 e, al tempo, frontiera esterna del Sistema solare: Le Verrier ipotizzò la presenza di un massiccio corpo planetario all’esterno dell’orbita di Urano, un nuovo pianeta gigante, la cui interazione gravitazionale con Urano avrebbe giustificato le irregolarità dell’orbita di quello che, al tempo, era il pianeta più distante dal Sole. Le Verrier fornì inoltre la posizione possibile del corpo perturbatore: poche settimane dopo, dall’Osservatorio di Berlino, Johann Gottfried Galle e Heinrich Louis d’Arrest osserveranno Nettuno, il corpo perturbatore, a meno di 1° dalla posizione prevista dai calcoli di Le Verrier.

Evidence for a distant giant planet in the Solar System”, di Konstantin Batygin e Mike Brown per The Astronomical Journal, si pone nello stesso contesto epistemologico dell’articolo di Le Verrier: gli autori prendono in considerazione le caratteristiche orbitali di due gruppi distinti di oggetti trans-nettuniani, ossia corpi solidi ubicati all’esterno dell’orbita di Nettuno, e calcolano la probabilità che un corpo perturbatore con determinate caratteristiche di massa e orbita giustifichi i comportamenti dinamici dei due gruppi considerati.

Mike Brown, astronomo specializzato nella frontiera esterna del Sistema solare, è conosciuto al grande pubblico per essere stato, con le sue scoperte, il responsabile della riclassificazione di Plutone a “pianeta nano”: Brown ha infatti popolato di nuovi corpi solidi le vicinanze del pianeta scoperto da Tombaugh nel 1930 e ha dimostrato come Plutone sia soltanto uno tra molti corpi di dimensioni paragonabili nelle sue vicinanze orbitali, in un analogo di quanto avvenuto con Cerere, dapprima classificato come pianeta e poi riclassificato come il principale degli asteroidi (e poi, di nuovo, come pianeta nano). Brown è lo scopritore di Eris, dea della discordia tra gli astronomi e pianeta nano di dimensioni assai simili a quelle di Plutone, nonché di Makemake, piccolo pianeta nano anch’esso nelle vicinanze orbitali del pianeta visitato con successo dalla New Horizons nel luglio 2014: Brown è inoltre l’autore di un libro il cui titolo - con un certo cinismo - proclama “Come ho ucciso Plutone (e come se l’è meritato)”.

Brown e Batygin considerano le orbite di sei corpi trans-nettuniani, il più noto dei quali è Sedna, scoperto nel 2003 e, per breve tempo, indicato come possibile decimo pianeta. Sedna condivide con almeno altri cinque oggetti sia il perielio, ossia il punto dell’orbita più vicino al sole, sia l’orientazione tridimensionale del piano dell’orbita: questi corpi hanno un’orbita fortemente eccentrica, ossia il loro punto più vicino al sole è a poche decine di Unità Astronomiche (UA) dalla nostra stella, e il loro afelio (il punto più lontano dal Sole) è a svariate centinaia di UA dal Sole, ma mostrano un’analoga orientazione spaziale delle loro orbite, che puntano tutte nello stesso punto dello spazio in una configurazione assolutamente stabile e incredibilmente improbabile. Batygin e Brown calcolano, nel loro articolo, che vi è solo lo 0.007% di possibilità che una tale orientazione delle orbite di Sedna e degli altri corpi sia completamente casuale.

Analogamente a quanto fatto da Le Verrier nel 1864, Batygin e Brown ipotizzano l’esistenza di un massiccio corpo perturbatore, un pianeta di una massa pari a 10 masse terrestri, con un’orbita orientata in modo opposto rispetto a quella dei sei corpi dall’orbita di tipo Sedna: un pianeta di massa simile sarebbe sicuramente un pianeta maggiore, e non nano, perché sarebbe altamente improbabile l’esistenza di corpi di dimensioni analoghe nell’intorno della sua orbita.

L’ipotesi del perturbatore, ribattezzato familiarmente “Pianeta Nove”, spiegherebbe perfettamente la conformazione dell’orbita e le caratteristiche del perielio dei corpi di tipo-Sedna ma farebbe anche di più: sarebbe in grado di spiegare altri due fenomeni al momento non completamente compresi. Il Perturbatore infatti darebbe anche ragione dell’orbita fortemente inattesa di un altro gruppo di corpi, il cui piano dell’orbita è a 90° rispetto a Sedna, il gruppo di “Drac” (da Dracula, perché sembrano manifestarsi entrando dalla “parete esterna” del piano orbitale: Brown non è nuovo a usare terminologia assai colloquiale per le sue scoperte: Eris fu chiamata preliminarmente “Xena”, e Makemake “Coniglietto pasquale”) e, inoltre, il Pianeta Nove sarebbe il quinto gigante gassoso del Sistema solare che, previsto dai modelli di formazione del nostro sistema, si ritiene sia stato “espulso” verso l’esterno dalle complesse interazioni con Giove, Saturno, Urano e Nettuno intorno a 4 miliardi di anni fa.

Il lavoro di Batygin e Brown ha quindi tutte le caratteristiche di una soluzione scientifica elegante e rigorosa: una spiegazione semplice, perché implica un unico nuovo corpo planetario, e una soluzione efficace, perché la presenza del nuovo pianeta spiegherebbe in modo convincente diversi fenomeni al momento non compresi, dal perielio alle orbite degli oggetti di tipo-Sedna, ai corpi di tipo-Drac, al quinto gigante gassoso mancante. E il Pianeta Nove farebbe ancora di più: renderebbe il nostro Sistema solare più simile agli altri sistemi stellari, che presentano pianeti di massa pari a 10-15 masse terrestri come il tipo di pianeta più diffuso. Il nostro Sistema solare ne appariva privo: ora potrebbe esserci il Pianeta Nove.

Gli autori prevedono che il nuovo pianeta sarà effettivamente scoperto, ossia confermato visivamente, entro 5 anni: appare matematicamente probabile, assai probabile che esista, ma solo la conferma visiva potrà ampliare davvero la famiglia del Sole. E un nuovo pianeta principale dovrà necessariamente portare il nome di una divinità greco-romana di prim’ordine: sarà forse Dioniso, che ha seminato il caos tra i corpi trans-nettuniani? O sarà Era, espulsa lontanissimo da Giove?

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Costruire sostenibile: il futuro è a portata di mano

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Costruire sostenibileDal rapporto “Innovazione e sostenibilità nel settore edilizio – Costruire il futuro” presentato oggi dall’Osservatorio congiunto su innovazione e sostenibilità nel settore edilizio (Oise) di Feneal Filca Fillea e Legambiente, emerge che «Dal 1998 ad oggi sono stati realizzati oltre 9 milioni di interventi di recupero edilizio grazie alle detrazioni fiscali e dal 2007 circa 2,5 milioni di efficientamento energetico». Numeri che secondo sindacati e ambientalisti «dicono che i vantaggi sono stati straordinari in termini di cantieri aperti e opportunità per le famiglie e per il lavoro. Ma anche che gli incentivi possono essere migliorati e resi più efficaci nella loro applicazione».

Oise sottolinea che «La sfida, che deve essere accompagnata con forza da governo e regioni, è di tornare a creare lavoro attraverso migliaia di cantieri di messa in sicurezza del territorio e riqualificazione del patrimonio edilizio in tutta Italia, con obiettivi energetici e di sicurezza statica e sismica».

Mentre in Italia si riaffaccia l’emergenza smog che soffoca le città appena il tempo migliora, le innovazioni negli edifici e nei cantieri, nei materiali e nelle tecnologie raccontate nel Rapporto Oise dimostrano come questa visione del futuro, di città meno energivore e inquinate, sia già a portata di mano. Feneal Filca Fillea e Legambiente dicono che il loro impegno comune è quello di « lavorare perché questa prospettiva prenda piede e permetta di invertire la curva dell’occupazione, arrivando a recuperare gli 800mila posti di lavoro persi nel settore, attraverso la riqualificazione e manutenzione dell’enorme patrimonio edilizio italiano. Occorre poi definire norme più stringenti per garantire che il lavoro prodotto attraverso le politiche di incentivazione sia lavoro qualificato e regolare,  cosa che non sempre è stata  finora garantita».

Per i sindacati e il Cigno Verde, «Ci sono tutte le condizioni per uscire dalla crisi del settore edilizio, mettendo al centro delle politiche le città e la rigenerazione energetica e statica del patrimonio esistente. Lo dimostrano gli investimenti e le innovazioni nel settore raccontati in questo rapporto. Ma per tornare a creare lavoro ora serve che il governo Renzi scelga sul serio questa prospettiva, dando certezze agli investimenti, concentrando qui le risorse europee, e poi garantendo controlli sulle certificazioni energetiche degli edifici per tutelare le famiglie».

Il dossier di Feneal Filca Fillea e Legambiente evidenzia come, «Dopo una pesante crisi durata otto anni, questo sia il momento buono per accompagnare il settore delle costruzioni verso un nuovo ciclo industriale incentrato sulla rigenerazione urbana, cogliendo i tanti segnali positivi già esistenti, e per tornare a creare lavoro. La terapia della rigenerazione può funzionare in Italia proprio perché sono notevoli i cambiamenti già avvenuti: in questi anni difficili il settore non si è infatti solo ridimensionato ma ha anche spostato il proprio baricentro verso il recupero, che oggi rappresenta circa il 70% del mercato complessivo».

L’Oise è convinto che «Sono le politiche europee, oggi, ad aiutarci a individuare la rotta per i prossimi anni. Una strada, peraltro, tracciata chiaramente dall’accordo sulla riduzione delle emissioni di CO2 uscito dalla COP21, che porterà l’Unione Europea a rivedere obiettivi e strumenti per accelerare la transizione. A motivare il cambio radicale delle priorità e l’idea che l’edilizia rappresenti davvero oggi un settore strategico per l’economia e lo sviluppo e che il suo profilo debba essere ridefinito per migliorare non solo qualità e prestazioni degli edifici, ma anche per scongiurare i rischi crescenti per le persone e il territorio legati ai cambiamenti climatici. E’ inoltre sempre più evidente come intervenire sulle prestazioni energetiche degli edifici sia una scelta che produce vantaggi locali, in termini di minore inquinamento, e per l’economia attraverso la riduzione della spesa energetica delle famiglie che mediamente tra elettricità e riscaldamento si aggira in Italia tra i 1500 e i 2000 euro all’anno».

Ambientalisti e sindacati dicono che «La vera grande questione è la confusione di responsabilità rispetto a chi si debba occupare di guidare questa transizione; il problema fondamentale non è quello delle risorse economiche, perché le opportunità di investimento risultano significative. E’ paradossale, ma di efficienza energetica si occupano, in teoria, il Ministero delle Infrastrutture, quello dello Sviluppo economico, quello dell’Ambiente, oltre all’Enea a cui sono stati affidati sempre più importanti compiti. Nella realtà non c’è alcuna regia che permetta di comprendere come il nostro Paese si muoverà nei prossimi anni per superare tutte le barriere burocratiche e normative».

Il rapporto mette in evidenza tre punti chiave: «Superare gli ostacoli alla riqualificazione del patrimonio edilizio, spingere la riqualificazione dei condomini, promuovere un progetto industriale per il settore delle costruzioni».

Per quanto riguarda il primo punto: «In particolare, occorre semplificare gli interventi, dare certezze agli investimenti e rendere strutturali le detrazioni fiscali legandole alla classe energetica degli edifici, premiare il miglioramento delle prestazioni, introdurre controlli e sanzioni per garantire i cittadini sulle prestazioni energetiche e la sicurezza degli edifici. E’ nell’interesse delle famiglie che ogni edificio si doti di un libretto unico del fabbricato antisismico, energetico, del rumore. Per un uso efficace delle risorse europee per l’efficienza energetica previste nella programmazione 2014-2020, va reso subito operativo il fondo per l’efficienza energetica introdotto con il decreto legislativo 102/2014. Bisogna inoltre escludere dal patto di stabilità gli interventi sul patrimonio pubblico certificati e verificati di riduzione dei consumi energetici degli edifici».

Al secondo punto c’è la riqualificazione dei condomini: «grande assente finora degli interventi edilizi in Italia nonostante oltre 20 milioni di persone vivano in edifici condominiali. Per promuoverne la riqualificazione occorre semplificare gli interventi e introdurre specifici incentivi, perché la complessità dei lavori e le difficoltà di accesso alle detrazioni fiscali sono le ragioni fondamentali di questo stallo».

Per il terzo punto, viene sottolineata «La necessità di un vero e proprio progetto industriale per il settore, per aprire i cantieri della rigenerazione edilizia attraverso soluzioni standardizzate e replicabili di retrofit che permettano di ridurre tempi e costi a fronte di prestazioni garantite in termini energetici e di sicurezza antisismica. Una sfida che incrocia la ricerca sui materiali e le tecniche di intervento con l’organizzazione delle imprese e la formazione dei lavoratori».

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Sinkhole all’Elba: a che punto sono gli studi per la mappatura delle aree a rischio voragini

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sinkhole rioSi è svolto ieri, mercoledì 27 gennaio, l’incontro fra i sindaci dei comuni di Rio nell’Elba e di Rio Marina con il gruppo di lavoro dell’università di Firenze, ente che da circa sei mesi sta svolgendo le  indagini per la mappatura del rischio voragini in Loc. Il Piano.

All’incontro, oltre ai sindaci Claudio De Santi e Renzo Galli, era presente anche il vicesindaco del Comune di Rio Marina, Giovanni Muti, il funzionario responsabile del settore Lavori pubblici del Comune di Rio Marina, Adriana Mercantelli e lo staff del dipartimento di Scienze della terra dell’università di Firenze, composta da Riccardo Fanti, Nicola Casagli, Emanuele Intrieri e Veronica Pazzi. Il giorno precedente invece si è avuta la presenza di Michele Di Filippo del dipartimento di Scienze della terra dell’università “La Sapienza” di Roma, ente che si occuperà delle indagini microgravimetriche.

Durante l’incontro è stato evidenziato il regolare procedere degli studi, in quanto sono state completate le indagini sismiche e geoelettriche; le indagini idrogeologiche relative anche ai pompaggi sono in corso e stanno per iniziare le indagini microgravimetriche ad alta precisione, che consentiranno di circoscrivere maggiormente le zone a rischio all’interno di un’area di 12 ettari.

Dopo che sarà completato il quadro conoscitivo si potrà passare ad un fase di programmazione per individuare una viabilità alternativa, attuare eventuali procedure di sicurezza, se interessate zone con abitazioni e immobili commerciali e valutare la viabilità pedonale delle zone stesse. Gli studi potranno dare informazioni e un quadro preciso della situazione soltanto dopo che saranno interamente completati.

Il sindaco di Rio nell’Elba e il sindaco di Rio Marina congiuntamente fisseranno a breve un incontro con il dipartimento Difesa del suolo e protezione civile della Regione Toscana al fine di richiedere finanziamenti e rinnovo incarico per consentire il proseguimento del monitoraggio radar della zona (scaduto il 31.12.2015), servizio necessario per eventuali segnalazioni di allerta sul territorio.

I sindaci inoltre vogliono rassicurare i cittadini che tutte le tappe delle indagini stanno procedendo in modo ottimale, secondo il programma previsto. Quindi entro il mese di Giugno 2016 saranno terminate.

di Comune Rio nell’Elba

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Expo 2017 in Kazakistan, “il futuro dell’Energia”. L’Italia alla corte di Nazarbaiev

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Bonaccini MartinaMentre si continua a discutere appassionatamente su chi abbia ricoperto le statue nude che avrebbero urtato la sensibilità del presidente iraniano Hassan Rouhani (per poi scoprire che nei musei della Repubblica islamica le statue nude non mancano), esponente di un governo considerato autoritario, una delegazione del governo italiano, capitanata dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, è in visita di affari in un Paese, il Kazakistan, che fa sembrare il regime degli Ayatollah un luminoso esempio di democrazia.

Come si legge in un comunicato della Conferenza delle Regioni e delle province autonome, «per la prima volta una missione all’estero del governo italiano vede la partecipazione del presidente della Conferenza delle Regioni». E Stefano Bonaccini, presidente Pd della Conferenza delle regioni e dell’Emilia Romagna, dice soddisfatto che «l’attenzione dell’esecutivo al ruolo e al contributo che le regioni possono dare nell’ambito di Expo 2017, “Future energy”, in programma ad Astana, capitale del Kazakistan, dal 10 giugno al 10 settembre 2017,  è un segnale importante e positivo».

Bonacini è intervenuto ad Astana, la capitale del Kazakistan che da il nome anche ad una ricca squadra ciclistica, ricordando «l’importanza di un’esposizione internazionale ospitata da un Paese centroasiatico e la centralità del tema prescelto», per poi sottolineare «il grande interesse delle regioni italiane a cogliere le opportunità che Expo Astana 2017 offre non solo per la promozione internazionale delle eccellenze italiane, in continuità con la positiva esperienza che ha rappresentato Expo Milano anche per i nostri territori, ma soprattutto come occasione di collaborazione bilaterale fra territori e imprese italiane e kazake».

Ora, se è vero che pecunia non olet, come ci ha confermato il trionfale viaggio di Rohani in Italia e Francia, con l’Iran improvvisamente mondato da tutte le accuse di essere uno Stato canaglia che preparava la guerra nucleare e finanziava il terrorismo islamico, è anche vero che almeno il presidente iraniano è stato eletto in elezioni vere, nelle quali ha sconfitto l’ala più reazionaria e retrograda della destra religiosa iraniana, mentre il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbaiev, era già premier del Paese quando ancora il Kazakistan faceva parte dell’Unione sovietica e ne è eterno presidente – allo stesso tempo filo-occidentale e filo-putiniano, senza scordare i cinesi – dal lontano 1991, vincendo con oltre il 90% dei voti tutte le "elezioni" e i "referendum" che ha convocato, suscitando per questo l’ammirazione di Silvio Berlusconi che, passati i confini nazionali, sembra avere una irresistibile attrazione per gli ex ras comunisti.

E’ già abbastanza scandaloso che la comunità internazionale abbia concesso al Kazakistan di realizzare l’Expo internazionale in una città futuristica che il regime ha edificato di sana pianta, una specie di Pyongyang del deserto, a immagine e somiglianza dei sogni di grandezza e di spreco della dittatura kazaca, ma, come per i mondiali di calcio organizzati dalla monarchia assoluta del Qatar, tutti i discorsi sulla democrazia e i diritti umani (ma anche sull’embargo alla Russia, visto che il Kazakistan ha un’unione economico/doganale con Mosca) si fermano dove iniziano le condotte del gas e del petrolio.

Così Bonaccini  può volare in Kazakistan per dire che «ad Astana c’è l’occasione per tornare a fare un gioco di squadra nell’interesse del sistema Italia» e di volerlo fare con l’impostazione seguita per Expo Milano con «la mobilitazione di tutti gli attori: governo, regioni, enti locali, università, centri di ricerca, imprese, associazioni, società civile», che è stata «uno degli aspetti fondamentali per il successo dell’Expo italiana. E questo modello di lavoro può essere messo in campo anche in occasione di Expo Astana 2017».

Insomma, tutti insieme appassionatamente alla corte di Nazarbaiev, della sua vorace famiglia e delle cricche che governano ininterrottamente da 25 anni questo come altri paesi dell’ex Asia centrale sovietica.

Non disturberemo certo il regime con inutili discorsi sulla democrazia o sulla repressione di oppositori e sindacalisti. Bonaccini pensa invece a «una task force permanente sulle Expo internazionali composta dai referenti di tutte le realtà regionali, coordinata dalla Conferenza delle regioni». La tematica Future energy si pone «in una logica di stretta continuità con i contenuti sviluppati dalle regioni per Milano 2015, offrendo la possibilità di affrontare altri ambiti di rilevanza globale, come quelli relativi alla produzione responsabile ed efficiente di energia nell'immediato futuro e al rapporto con l'ambiente, con particolare riferimento alle energie rinnovabili. Anche su questi temi come Regioni abbiamo il dovere di fornire “un racconto organico che metta in evidenza le migliori eccellenze dei nostri territori. Per farlo abbiamo scelto di lavorare, come Conferenza delle regioni, accanto al governo e al Commissario generale del padiglione italiano».

L’eterno Nazarbaiev e la sua inamovibile corte ne saranno certamente contenti, un po’ meno chi lotta per una vera democrazia che in Kazakistan non è mai arrivata.

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Wwf: con sviluppo green e low carbon oltre 4.500 posti di lavoro in Liguria (VIDEO)

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Liguria centrale a carboneIl Wwf ha commissionato all’ENEA lo studio “Liguria, proposte per un modello di sviluppo nearly zero emissions”, «per approfondire le possibilità di una transizione verso un modello basato su tecnologie e sistemi in grado di ridurre le emissioni di gas serra e, di conseguenza, l’impatto dei cambiamenti climatici - come indicato dal recente accordo di Parigi (COP21) e dagli impegni europei, ma anche di promuovere l’efficienza energetica, favorire lo sviluppo e l’innovazione del sistema produttivo e incrementare i livelli occupazionali, seguendo i principi di un’economia circolare». Da questo documento presentato oggi emerge che « Nei prossimi 15 anni in Liguria, in termini di sola occupazione diretta, potrebbero nascere oltre 4.500 nuovi posti di lavoro dalla transizione verso un modello green e low carbon dell’economia, con particolare riguardo allo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica; tale sviluppo richiederebbe investimenti medi annui pari a 391 milioni di euro».

Secondo lo studio Wwf-ENEA, «L’insieme delle proposte consentirebbe alla Liguria di ridurre di circa 6 milioni di tonnellate annue le emissioni di CO2, di fatto dimezzando le emissioni pro-capite, portandole cioè a circa 3,6 tonnellate di anidride carbonica equivalente (tCO2eq), rispetto alla media nazionale attuale che è di circa 7,1 tCO2eq».

Roberto Morabito, direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali dell’ENEA, ha sottolineato che «Non si tratta di un piano energetico regionale, ma dell’analisi di alcune opzioni che possono essere sviluppate e percorse da subito e avere piena attuazione nel corso di qualche decennio L’obiettivo è l’individuazione di un modello di sviluppo green e low carbon che possa essere replicabile anche in altre realtà regionali e territoriali».

Complessivamente, il rapporto ha preso in considerazione oltre 30 opzioni tecnologiche e su 15 è stata effettuata una valutazione degli impatti energetici, ambientali, economici ed occupazionali, arrivando ad una rosa di interventi, da poter promuovere in cinque settori strategici: fonti rinnovabili elettriche, rinnovabili termiche, accumulo elettrochimico in batterie, risparmio energetico nell’edilizia, sistema dei trasporti sostenibile. Il Wwf dice che «Alcune delle opzioni individuate risultano promettenti, ma non ancora pienamente mature (ad esempio l’auto elettrica), in quanto la loro affermazione dipenderà dagli investimenti e dalle traiettorie di sviluppo internazionali. In altri casi, si tratta di tecnologie ormai mature e di sicuro sviluppo (ad esempio il fotovoltaico), ma ancora condizionate da costi e limiti organizzativi del mercato. Altre ancora sono tecnologicamente pronte (ad esempio la riqualificazione energetica ad emissioni quasi zero degli edifici), ma ostacolate da inerzie organizzative e disponibilità di accesso a capitali adeguati».

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili elettriche e termiche, lo studio prevede che «si possano creare mediamente 2.076 nuovi posti di lavoro, di cui 737 nelle rinnovabili elettriche e 1.339 nelle rinnovabili termiche. Tale sviluppo richiederebbe investimenti medi annui pari a 166 milioni di euro, di cui 103 milioni nelle rinnovabili elettriche e 63 milioni nelle rinnovabili termiche. In questo modo, il 40% dell’attuale domanda di energia elettrica regionale sarebbe soddisfatto da fonti rinnovabili per una valore pari a circa 2,5 terawattora (TWh = 1 miliardo di chilowattora)».

Altro settore con grandi potenzialità è la riqualificazione del parco edilizio: «Con un investimento medio annuo di circa 209 milioni di euro si creerebbero 2.186 nuovi posti di lavoro e gli interventi realizzati su oltre 10 mila appartamenti permetterebbero di ridurre i consumi del 60% rispetto agli attuali livelli. Sull’arco temporale di 15 anni il risparmio energetico sarebbe di 71mila tonnellate di petrolio equivalente (tep), pari a una riduzione di circa il 15% dei consumi termici residenziali».

Il rapporto conclude che «Complessivamente, nel settore delle fonti rinnovabili e della riqualificazione energetica degli edifici si potrebbero creare, come valore medio nei 15 anni, 4.262 nuovi posti di lavoro, che salgono agli oltre 4.500 totali includendo il settore dell’accumulo elettrico».

Un contributo rilevante, anche se di difficile quantificazione sotto l’aspetto occupazionale, potrebbe venire  dai trasporti: «Prendendo in considerazione quattro tipologie di intervento, quali auto elettriche, elettrificazione delle banchine portuali, promozione del traffico pubblico locale e del trasporto ferroviario da e per i porti, si potrebbero ottenere a regime risparmi energetici di circa 310mila tep/anno».

La presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi, conclude: «Questo studio dimostra in modo chiaro e inequivocabile come già oggi esistano una serie di soluzioni concrete e cantierabili che consentirebbero ad una Regione come la Liguria (ma il discorso potrebbe tranquillamente essere esteso all’intero Paese) di fare rotta verso un’economia a bassissime emissioni, capace cioè di contrastare la minaccia dei cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, creare nuova occupazione, più durevole e sostenibile».

 

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Lipu: caccia senza controlli, ancora più illegalità

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Caccia LipuSecondo la Lega italiana protezione uccelli (Lipu) quella che si concluderà (salvo alcune proroghe) il 31 gennaio è sta una stagione venatoria «segnata dalla sostanziale sparizione della vigilanza venatoria e ambientale, che ha causato gravissimi danni alla natura e che richiede ora interventi urgenti».

La  Lipu è convinta che «La scelta di sopprimere il Corpo Forestale dello Stato come forza di polizia autonoma e la soppressione delle Provincie, che di fatto ha cancellato la Polizia Provinciale, hanno generato una situazione di quasi totale impossibilità di effettuare controlli in campo venatorio, ormai limitati alle guardie volontarie e a poco altro. Si aggiunga l’incomprensibile decisione del Governo di estendere la cosiddetta “tenuità del fatto” a molti reati contro gli animali selvatici, che porta i giudici ad archiviare atti anche molto gravi come l’abbattimento di specie super protette o l’utilizzo di mezzi vietati per la caccia. Il quadro che ne deriva è una stagione nera per il diritto ambientale italiano e una situazione tale da mettere l’Italia in una posizione di profonda infrazione rispetto alle normative comunitarie e alla protezione effettiva della natura».

Secondo l’associazione protezionistica, queste scelte politiche hanno avuto come conseguenza «Una ulteriore dilagante illegalità e gravissimi episodi di bracconaggio, con l’abbattimento di cicogne, aironi, rapaci diurni (falchi, poiane, nibbi e sparvieri) e notturni e, inoltre, altre specie particolarmente protette».

Il presidente Lipu-BirdLife Italia,  Fulvio Mamone Capria, sottolinea: «Siamo di fronte ad una situazione molto preoccupante –che il Governo ha generato e sta colpevolmente sottovalutando. La cosa è tanto più grave se si considera che l’Italia è sottoposta alla procedura europea, la Eu-Pilot, che tra l’altro già contestava al nostro Paese la debolezza del sistema di monitoraggio e il controllo dell’attività venatoria. Ebbene, lo Stato e le Regioni non hanno migliorato tale sistema e anzi lo hanno peggiorato, con scelte irresponsabili che stanno causando conseguenze molto negative. Davvero non possiamo tollerare che la natura venga trattata così male, e per questo abbiamo avviato il lavoro di redazione di un dossier per la Commissione europea, che espone quanto sta accadendo e ne chiede l’intervento urgente».

Per la lipu è invece «Positiva la chiusura anticipata della caccia ad alcune specie quali i tordi e la beccaccia, per i quali tuttavia la forte riduzione della stagione venatoria deve diventare definitiva e deve aggiungersi alla cancellazione di varie specie in cattivo stato di conservazione dall’elenco di quelle cacciabili».

 

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Lo smog torna a far paura in Italia, e il ministro Delrio punta sulla “cura del ferro”

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smogDopo gli allarmi di fine anno sullo smog e il conseguente summit convocato in fretta e furia al ministero dell’Ambiente per affrontare l’emergenza, è stato sufficiente aspettare meno di un mese perché l’amara verità tornasse ad emergere dai gas di scarico delle auto, dalle ciminiere delle industrie, dalla pletora di tir che trasporta merci su e giù lungo lo Stivale: il Protocollo d’intesa sulla qualità dell’aria siglato durante l’emergenza tra governo, Anci e regioni sarà forse servito a stemperare gli animi, ma non i livelli di smog. Non appena le condizioni climatiche sono tornate sfavorevoli, come in questi giorni, i livelli d’inquinamento sono tornati ai consueti picchi.

Soprattutto al centro nord, asfissiato dalla mancanza di pioggia e di vento, i livelli di Pm10 e Pm2.5 rilevati dalle centraline sono saliti oltre la soglia di guardia. In alcune città – come Roma – si sono riaffacciati i blocchi (finora parziali) del traffico, misure tampone che hanno già ampiamente dimostrato la loro inefficacia, quantomeno oltre il brevissimo termine. Per individuare strategie di più ampio respiro, ieri il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio – il suo collega all’Ambiente, Gian Luca Galletti, che fine ha fatto? – è stato ascoltato nella commissione Ambiente della Camera.

«Servono risposte strutturali – ha concordato il ministro –, non emergenziali. La prima strategia contro lo smog è la “cura del ferro”. Il potenziamento dei trasporti pubblici locali, delle metropolitane, della logistica portuale», ha snocciolato Delrio, ricordando poi le misure adottate nella legge di Stabilità per estendere l’ecobonus e dunque ridurre le emissioni dovute al riscaldamento degli edifici e contribuire a un risparmio intelligente da parte dei cittadini: in media, tra una casa costruita bene e una costruita male passa una bolletta energetica di 1.500-2.000 euro l’anno.

Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente dove ha parlato Delrio, si è detto in «totale sintonia» con il ministro sulla «nuova strategia per una mobilità sostenibile. Per combattere l’inquinamento urbano occorre, oltre a una riduzione delle emissioni del sistema produttivo e di quelle legate al riscaldamento degli edifici, una nuova idea di mobilità in grado di tutelare la salute dei cittadini, garantire il diritto a trasporti pubblici efficienti e concorrere agli obiettivi internazionali di abbattimento delle emissioni di CO2. È necessario dare priorità al potenziamento del trasporto pubblico rispetto a quello privato, investendo sul ferro e in particolare sui treni pendolari. I dati forniti da Pendolaria, il recente rapporto di Legambiente, descrivono una realtà allarmante con un taglio dei fondi al servizio ferroviario regionale del 6,5% dal 2010 ad oggi, con aumenti delle tariffe e diminuzione dei treni disponibili. Senza rinnovare e migliorare il materiale rotabile e gli stessi mezzi pubblici.
Serve una strategia di lungo respiro che punti alla mobilità sostenibile favorendo lo spostamento delle merci dalla gomma alla rotaia e al cabotaggio, promuovere mezzi e modalità di trasporto meno inquinanti, dall’auto elettrica al car-sharing, incluso l’utilizzo più diffuso della bicicletta con un incremento delle piste ciclabili urbane. Visioni e proposte concrete portate in Commissione dal ministro Delrio parlano di una revisione profonda nella politica dei trasporti del governo, che incrocia anche cambiamenti di mentalità e stili di vita dei cittadini».

Di strada (ferrata, of course) da fare ne resta però tantissima. Prendendo ad esempio la realtà della Capitale, la dotazione infrastrutturale in termini di ferrovie per pendolari, metropolitane e tram risulta estremamente carente rispetto alle altre città in Europa. Nel Vecchio continente, come ha ricordato Legambiente, Roma »offre una media di 0,077 km di metropolitane, linee suburbane e tram ogni 1.000 abitanti che è la dotazione più bassa in assoluto». E se Roma è la peggiore capitale in Europa per dotazione infrastrutturale utile alla mobilità sostenibile, il resto del Paese non fa poi molto meglio.

«Siamo d'accordo con Delrio – ha dichiarato Angelo Bonelli dei Verdi, commentando l’audizione del ministro – Sono necessari provvedimenti strutturali per portare il trasporto pubblico locale dell’Italia a livelli europei. Allo stato attuale il trasporto pubblico nel nostro paese si trova in una situazione vergognosa per cui chiediamo che ci siano stanziamenti straordinari necessari a recuperare il terreno perduto dopo anni e anni di tagli». Il consenso mostrato attorno alle intenzioni del ministro per combattere lo smog è dunque pressoché unanime, ma dopo le parole servono ora le azioni e gli investimenti che devono effettivamente essere stanziati. Ovvero una strategia molto diversa da quella presentata neanche un mese fa dallo stesso governo, con il già vecchio Protocollo contro lo smog.

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Giornata mondiale delle Zone umide, paesaggi e biodiversità spesso sconosciuti o trascurati

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Zone umide 2Laghi, torbiere, foci dei fiumi, lagune e litorali con acque marine costiere: sono tantissime in Italia le zone umide, habitat particolari ricchi di flora e fauna, in grado di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici in quanto regolatrici del regime delle acque. Ben 53, secondo l’elenco stilato dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, le aree che interessano ambienti e paesaggi molto significativi di 15 regioni, inserite anche nella rete Natura 2000 o in aree protette nazionali, regionali o locali.

Le specie viventi nelle acque interne che sostengono processi vitali e produttivi, infatti, forniscono una serie numerosissima e varia di servizi ecosistemici. La perdita di questi servizi, in particolare di quelli relativi ai processi depurativi, produttivi, alla regolazione dei  fenomeni idrogeologici e alla fissazione del carbonio presente nella biosfera, potrebbe determinare impatti preoccupanti sui processi produttivi e sulla qualità della vita dell‘uomo.

Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente, sottolinea che «Si tratta di habitat fondamentali per la conservazione della biodiversità terrestre, eppure sono tra gli ecosistemi più a rischio del pianeta La pressione antropica e il riscaldamento globale infatti ne mettono sempre più a rischio gli equilibri delicati e complessi e nell’ultimo secolo oltre il 64% delle zone umide sono scomparse. Addirittura, secondo dati  Ispra, il tasso di declino e perdita di alcune popolazioni di specie legate agli ecosistemi acquatici è quadruplicato dal 2000 a oggi. Per questo è necessario sollecitare l’attenzione delle istituzioni e dei cittadini affinché siano avviate le necessarie azioni di tutela. Nel nostro Paese mancano ancora le idonee sinergie fra le Direttive quadro sulle Acque, Habitat e Uccelli e le aree marino-costiere con la Direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino. L’integrazione dei loro strumenti permetterebbe di ottimizzare le risorse e i tempi per attuare azioni di tutela e di monitoraggio della biodiversità».

La  Giornata Mondiale delle Zone Umide secondo la Convenzione di Ramsar (2 febbraio 1971) che ha sancito la tutela di queste aree particolarmente importanti per la conservazione della biodiversità sul Pianeta, ma altrettanto fragili e delicate, si festeggia il 2 febbraio, ma  Legambiente organizza iniziative informative e di sensibilizzazione che si svolgeranno in tante regioni, dal 30 gennaio al 13 febbraio, con escursioni lungo le sponde del lago Fusaro (Bacoli, Napoli) a “caccia” di crostacei e molluschi fossili in compagnia di esperti di botanica e zoologia e ornitologi che illustreranno le specie di uccelli in sosta nella zona dei Campi Flegrei, alle attività didattiche per i bambini presso il lago di Porta (Massa Carrara), alla passeggiata naturalistica lungo il fiume Maglie e il lago Pietra del Pertusillo (Potenza) dove ammirare anche le rovine dell’antica città romana di Grumentum, fino alla visita guidata nella bellissima Riserva Naturale Orientata Laghetti di Marinello (Patti, Messina) o al trekking nell’area dei pantani Longarini, tra Ispica e Pachino (Sicilia sud orientale). Sempre in Sicilia, a Palermo, si terrà anche un incontro pubblico sulle aree naturali protette dal titolo “La tutela dell’ambiente per una Sicilia più verde e più bella”. In Calabria l’appuntamento è presso il Parco Nazionale della Sila per una ciaspolata intorno all’Oasi naturalistica dell’Ariamacina per osservare aironi e germani, mentre in Veneto oltre all’attività di birdwatching nell’area di fitodepurazione di Ca’ di Mezzo (Codevigo, Padova) si realizzerà anche un laboratorio di maschere per i bambini. Visite guidate all’osservazione dell’avifauna si svolgeranno anche nelle Marche, nella Riserva naturale Regionale della Sentina (San benedetto del Tronto), nel Parco nazionale del Circeo (Latina), in Sardegna, nella laguna di Santa Gilla (Cagliari) e alla foce del Rio Posada (Nuoro), e in Puglia, presso la zona umida della Salina di Margherita di Savoia (Barletta), la salina marittima più grande d’Italia.

Nicoletti conclude: «Le nostre iniziative coinvolgono anche quelle zone umide considerate minori e spesso non riconosciute con lo status previsto dalla Convenzione. Si tratta di aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificiali d'acqua, permanenti o transitorie, poco conosciute dai cittadini e molto spesso non tutelate dalle istituzioni, ma che possono svolgere un ruolo di primo piano nelle strategie per frenare la perdita di biodiversità e porre un freno agli effetti dei cambiamenti climatici».

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Fao: «Le minacce di Ebola e Mers destinate a durare a lungo». Serve più ricerca

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ebolaLe minacce di malattie infettive trasmesse dagli animali, come Ebola e la Sindrome respiratori mediorientale da coronavirus (Mers-CoV), sono destinate a durare a lungo, ed epidemie ancora più dolorose rischiano di divampare insieme all'emergere nel prossimo futuro di nuove malattie, ha dichiarato Juan Lubroth, veterinario capo della Fao.

Per valutare e gestire meglio in futuro tali epidemie, i responsabili politici devono promuovere un programma di ricerca integrata che faccia una mappatura su ciò che si sa e su quello che non si conosce ancora circa le dinamiche di trasmissione e i modelli di ricaduta delle due epidemie recenti, oltre a promuovere la collaborazione e reti diagnostiche e di sorveglianza più efficienti. Questo quanto affermato dalla Fao, che con Usaid come partner e sponsor, ha ospitato nei giorni scorsi una serie di incontri tecnici su Ebola e Mers cui hanno partecipato ricercatori e responsabili politici di tutto il mondo
«Rimangono ancora lacune nella nostra conoscenza di come queste malattie si trasmettono, sia agli esseri umani che a potenziali specie animali, così come la loro epidemiologia e il rischio che possono rappresentare per la sicurezza alimentare e sanitaria delle popolazioni che dipendono dal bestiame o dalla caccia», fa notare Lubroth.

La Fao da molto tempo sollecita una maggiore collaborazione e condivisione delle informazioni. Gli incontri che hanno avuto luogo questo mese sono andati ancora più avanti, coprendo questioni che vanno dai metodi diagnostici di laboratorio, all'epidemiologia, agli studi comportamentali e sulle catene di approvvigionamento.  I partecipanti hanno contribuito a una mappa integrata delle attività in corso e di quelle in programma nel campo della ricerca di laboratorio, dello sviluppo di test, della sorveglianza, della formazione, delle pratiche a rischio per la comprensione e l'identificazione di misure preventive.

La ricerca è la chiave per comprendere e mitigare il rischio dell'emergere di malattie infettive negli animali e nell'uomo, ha affermato Andrew Clements, consulente tecnico senior del Bureau for Global Health dell'Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (Usaid). «Una parte fondamentale per la comprensione del rischio sta nel coordinamento della diagnostica animale e umana e della sorveglianza, e la comprensione di come le catene di valore aggiunto della produzione animale possano contribuire alla trasmissione delle malattie dagli animali agli esseri umani. Contemporaneamente occorre rafforzare le capacità dei singoli paesi di prevenire, individuare e rispondere alle minacce di malattie infettive - ha aggiunto Clements, facendo riferimento alla risposta all'influenza aviaria H5N1 in Asia -  Nel corso degli ultimi 10 anni la Fao e Usaid hanno lavorato insieme con successo per condurre questo tipo di attività».

Il Sevizio di salute animale della Fao è impegnato a promuovere uno sforzo concertato per identificare esattamente quali animali fungono da serbatoi o ospiti intermedi di un virus, la loro distribuzione geografica, i comportamenti umani e animali che favoriscono la trasmissione, così come i meccanismi della trasmissione virale, i fattori ecologici e sociali che sostengono o attenuare i focolai.

L'incontro della Fao ha deliberato di proseguire gli studi comparativi dell'Africa e del Medio Oriente per cercare di capire il motivo per cui non sono stati segnalati casi umani di Mers in Africa, nonostante la presenza dei cammelli trovati positivi al virus. Basandosi sulle dichiarazioni prese nel passato, è stato inoltre concordato di promuovere una più attiva sorveglianza del settore per capire meglio i modelli di trasmissione della malattia, la durata dell'immunità, la varietà dei possibili ospiti del virus e i modi in cui i cammelli vengono allevati e coinvolti nelle catene commerciali e di valore aggiunto. È stato inoltre deciso di sviluppare maggiori test sierologici, istituire bio-banche per contenere più tipi di campioni, impegnarsi in infezioni sperimentali con vari ceppi per determinare i fenotipi, e sviluppare strumenti molecolari.
Per dare seguito a quanto deciso nella riunione, la Fao e l'Organizzazione mondiale per la salute animale (Oie) esploreranno la possibilità di creare un network scientifico e tecnico sulla Mers.

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Biofiltrazione dei gas di discarica, in Toscana una ricerca di livello europeo

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discarica podere rotaPer quei rifiuti che non trovano la via del riuso, del riciclo o dell’incenerimento, la destinazione finale è la discarica. Un’opzione teoricamente residuale (e dunque in una certa misura necessaria), che in Italia riguarda però ancora oggi una percentuale tutt’altro che minoritaria dei rifiuti: il 31%, rimanendo agli urbani (dati 2014). Di fronte a numeri così importanti diventa ancor più importante ridurre l’impatto ambientale delle discariche, e per raggiungere nuovi traguardi la strada maestra è quella della ricerca, che trova in Toscana un hub di primo piano: lo conferma il finanziamento di oltre 500mila euro accordato dall’Ue al progetto Life RE Mida, presentato oggi nell’auditorium della Regione Toscana, e che vede come partner il dipartimento di Ingegneria industriale dell’università di Firenze (capofila), la Regione Toscana, Csai (che tocca così il terzo progetto di ricerca finanziato dal programma Life in collaborazione con l’ateneo toscano) e Sienambiente.

In particolare, il progetto prevede la realizzazione, la gestione ed il monitoraggio di un sistema di biofiltrazione dei gas di discarica residuali a scala industriale con materiali filtranti biologicamente attivi, che sarà realizzato presso la discarica di Podere il Pero nel comune di Castiglion Fibocchi, gestita da Csai (nella quale i conferimenti dei rifiuti sono terminati nel marzo 2014 e sono appena concluse le opere di copertura definitiva) e presso il sito delle Fornaci nel Comune di Monticiano (SI), gestito da Sienambiente (dove verranno installati 7 biofiltri realizzati con il compost Terra di Siena prodotto nei propri impianti.

Il progetto di biofiltrazione mira a contenere un inconveniente non da poco che si manifesta dopo qualche tempo che una discarica giunge a fine vita. Il biogas di discarica, che si produce naturalmente dalla degradazione della matrice organica contenuta nei rifiuti, è composto in larga parte da metano (CH4) ed anidride carbonica (CO2). La normativa (europea e nazionale) impone ai gestori delle discariche di evitare la dispersione del biogas in atmosfera attraverso impianti di aspirazione e l’invio a combustione, anche attraverso il recupero energetico; al termine dell’attività di gestione delle discariche (o anche di alcuni moduli), e dopo qualche dall’avvenuta chiusura, la produzione di biogas diminuisce però gradualmente: alla fine, la combustione diviene non più praticabile.

Che fare, dunque? L'emissione di gas climalteranti rimane uno dei principali problemi di impatto ambientale per le discariche di rifiuti. Nel D.Lsg. 36/2003 si prescrive come unica forma di trattamento del gas di discarica la combustione, la Norma pertanto non fornisce indicazioni in merito al problema del trattamento del gas di discarica a basso contenuto di metano. In Europa, ma anche a livello globale, tale tematica è stata affrontata da numerose ricerche tecnico scientifiche che, a partire dal 2006, hanno studiato la biofiltrazione.

Nei prossimi due anni, quest’approccio potrà fare ulteriori passi avanti grazie alla ricerca toscana, producendo ricadute positive proprio a partire dal territorio di riferimento. I risultati del progetto – sottolineano da Csai – potranno infatti essere utili nel prossimo futuro anche per la discarica (ad oggi attiva) di Podere Rota: un impegno nel cercare di ridurre l’impatto ambientale degli impianti di smaltimento non solo nella loro gestione post mortem, ma già in fase di coltivazione.

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Servizi pubblici e partecipate, le 100 “top utility” italiane valgono il 7,4% del Pil

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top utilityIl bistrattato settore dei servizi pubblici, oltre a garantire un operato fondamentale per la cittadinanza, continua a svolgere un ruolo di tutto rispetto anche per quanto riguarda la dimensione economica: il volume d’affari delle prime 100 utility italiane – sia pubbliche sia private, a determinare i buoni risultati è piuttosto un’efficace governance – si attesta nel 2014 a 120 miliardi di euro, contribuendo per il 7,4% del Pil italiano e dando lavoro a oltre 131mila addetti. Cento aziende che rappresentano, nel complesso, il 56% dell'energia elettrica generata in Italia (dati Aeegsi), il 35% dei rifiuti urbani raccolti (Ispra) e il 63% dell'acqua distribuita (Istat).

Sono questi i numeri messi oggi in fila nella quarta edizione del rapporto Top utility analysis, che scatta una fotografia del settore a pochi giorni dall’approvazione (in via preliminare) dei decreti attuativi della riforma Madia, che hanno investito tra l’altro il settore dei servizi pubblici e delle partecipate.

«L'analisi offre un quadro d'insieme che è in continua evoluzione - spiega l’economista Alessandro Marangoni, ceo di Althesys e coordinatore del gruppo di ricerca Top utility - Nonostante un contesto congiunturale e settoriale ancora difficile, non solo si registra una tenuta dei risultati economico-finanziari, ma si affianca anche una crescente attenzione ai temi ambientali, alla trasparenza e alla comunicazione con gli stakeholder».

Secondo il modello di valutazione adottato dal think tank Top utility, autorevole per i soggetti coinvolti ma non ben specificato nelle modalità d’analisi, la migliore azienda in assoluto è risultata nel 2015 Marche Multiservizi (controllata dal gruppo Hera); tra le altre categorie premiate, spicca la toscana Quadrifoglio nel settore “comunicazione” e il colosso Enel per “efficienza energetica”.

Più in generale, dallo studio emerge che i settori idrico e ambientale crescono rispetto agli energetici (gas ed elettricità): i ricavi delle aziende, anche a causa del calo dei ricavi del comparto energetico dovuto alla riduzione dei prezzi e dei volumi di gas ed elettricità, sono diminuiti complessivamente del 9%: dai 132 miliardi del 2013 si è passati a 120 miliardi del 2014, mentre le imprese che si occupano esclusivamente della gestione rifiuti e dell'acqua sono cresciute rispettivamente del 7,6% e 6,8%. Gli investimenti, pur diminuendo in termini assoluti, sono rimasti pressoché costanti in proporzione sui ricavi (da 3,5% a 3,4%), scendono in termini assoluti, essendo passati a 4,1 miliardi di euro nel 2014 dai 4,6 del 2013. I maggiori investimenti sono stati fatti dalle imprese del comparto energetico per quasi 2,3 miliardi: queste aziende, forse anche per attrezzarsi meglio ad affrontare il crollo delle commodity energetiche, sono le uniche ad averli aumentati rispetto all'anno precedente (sia in termini assoluti che relativi).

Da migliorare infine l’aspetto relativo al Corporate social responsibility (Csr): l’89% delle “top utility” italiane ha sì adottato il codice etico, ma solo il 33% delle aziende pubblica un proprio bilancio di sostenibilità.

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Le grandi cospirazioni hanno le gambe corte. Impossibile non scoprirle, troppe persone coinvolte

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cospirazioni climaticheRobert Grimes, un fisico britannico dell’università di Oxford che lavora nella ricerca sul cancro,  ha pubblicato o su PlosOne lo studio “On the Viability of Conspiratorial Beliefs”  che probabilmente lo farà diventare la bestia nera di tutti i complottisti anti-scientifici e di tutti gli ecoscettici che affollano Facebook, Twitter e gli altri social network. Grimes ha formulato un’equazione che rivela quanto a lungo può essere mantenuto un segreto in base al  numero di persone che ne sono a conoscenza, dimostrando così che non avrebbero mai potuto essere tenuti nascosti presunti segreti cospirativi come i falsi sbarchi sulla Luna o il complotto scientifico sul cambiamento climatico, che implicherebbero un progetto di falsificazione condiviso da centinaia di migliaia di persone.

Grimes è rimasto impressionato da quante siano ormai le persone che credono che alcune grandi conquiste e scoperte scientifiche siano in realtà falsi segretamente manipolati da alcuni gruppi di potere e organizzazioni clandestine  e che, anche di fronte alla manifesta falsità, alla mancanza di prove di un qualsiasi complotto, l’accettazione della teoria della cospirazione da parte dell’opinione pubblica resti alta. Secondo il ricercatore britannico, «Gli sforzi per convincere l’opinione pubblica  della validità dei risultati medici e scientifici possono essere ostacolati da queste narrazioni, che possono creare l'impressione del dubbio o del disaccordo in aree in cui la scienza è ben consolidata». Al contrario, esistono esempi storici di cospirazioni certe ma per le quali può essere difficile, per le persone comuni, distinguere tra affermazioni ragionevoli e dubbie.

Il modello matematico di Grimes è semplice: si basa sulla probabilità che un complotto venga scoperto perché qualcuno rivela cosa sta succedendo o commette un errore, ma la formula tiene conto di molti  fattori: da quanti sono i partecipanti alla congiura, al tempo richiesto per attuare la cospirazione, fino al rischio – come può accadere per alcuni complotti che vanno per la maggiore sul web -  che i complottisti scompaiano tutti per vecchiaia. L'equazione è comunque un "best case scenario" per cospiratori perché presuppone ottimisticamente che cospiratori siano bravi a mantenere i segreti e che non ci siano indagini esterne al loro gruppo di adepti e complici.

Grimes sottolinea che «Di solito queste teorie del complotto si respingono a priori e non si bada ai loro sostenitori, ma io ho voluto seguire l'approccio opposto, e vedere se e come sarebbero possibili le cospirazioni. Così, ho preso in considerazione il requisito essenziale per un buon complotto, il segreto». Per farlo Grimes si è basato sui dati  di tre complotti veri  che sono stati scoperti. Il primo è stato il  progetto Prism della National Security Agency Usa, nel quale erano coinvolte 36.000 persone e che è stato  reso noto da  Edward Snowden, dopo circa 6 anni.

Il secondo è il test sulla sifilide di Tuskegee, durante il quale la penicillina non è stata volutamente data ai pazienti afro-americani. L'esperimento avrebbe coinvolto fino a 6.700 persone e il l dottor Peter Buxtun ha denunciato tutto dopo circa 25 anni.

Il terzo era uno scandalo dell'FBI: il dottor Frederic Whitehurst denunciò che i metodi utilizzati dell'agenzia per le sue analisi forensi erano  antiscientifiche e fuorvianti e che questo aveva portato all’arresto e addirittura alla condanna a morte di persone innocenti.  Grimes stima che fossero coinvolte al massimo 500 persone e lo scandalo è venuto alla luce dopo circa 6 anni.

Grimes sa bene che «Le teorie del complotto che postulano una subdola azione nefasta da parte degli  scienziati sono onnipresenti» e quindi si occupa in particolare di quattro presunti complotti ai quali i gruppi anti-scientifici sono molto affezionati:

1. la cospirazione dell’allunaggio della NASA: Il successo della missione Apollo 11, che nel 1969 portò il primo uomo sulla Luna, è messo in dubbio da molti complottisti che sono convinti che non ci sia mai stato nessun allunaggio e che si tratti di una bufala cinemetografica nemmeno tanto ben congegnata. Nel 2013 la pensava così il 7% degli statunitensi. Alla base di questa convinzione ci sono le foto scattate sulla superficie lunare, che sarebbero dei falsi, anche se questa convinzione è stata ampiamente smentita.

2. La cospirazione del Cambiamento climatico. Il negazionismo climatico è forse quello che ha una maggiore dimensione politica: «Nonostante la schiacciante forza delle prove a sostegno del consenso scientifico del riscaldamento globale antropogenico – si legge nello studio - ci sono molti che rifiutano questo consenso. Tra questi, molti sostengono che il cambiamento climatico è una bufala messa in scena da scienziati e ambientalisti, apparentemente per produrre reddito per la ricerca». Queste convinzioni sono state completamente annullate dalla mancanza di prove, eppure restano popolari, anche grazie alle campagne di una parte dei media che, quando va bene, mettono sullo stesso piano il negazionismo senza basi scientifiche e la scienza climatica.

3. La cospirazione della vaccinazione. Secondo Grimes le teorie cospirazionistiche sono endemiche nel  movimento anti-vaccinazione:  circa il  20% degli americani è convinto che ci sia un legame tra autismo e il vaccino MMR, una convinzione che ha portato ad una forte diminuzione di vaccinazioni importanti in diversi Paesi, Italia compresa. Le convinzioni anti-vaccinazioni e l’allarmismo sono esplosi con Internet, che pullula di siti e pagine che, secondo il ricercatore, diffondono informazioni errate, seminando il panico e  facendo così riemergere malattie come il morbillo.

4. La cospirazione della cura del cancro. Si basa sulla convinzione che la cura per il cancro esista già ma che sia tenuta nascosta per tutelare interessi di parte. Grimes dice che  «Viene spesso utilizzata come un deus ex machina universale da coloro che spingono una presunta cura alternativa, e l'affermazione delle teoria del complotto funziona come dispositivo esplicativo per spiegare la scarsità dell’evidenza clinica di tali credenze. Tali affermazioni possono essere dannose  per i pazienti, alcuni dei quali abbandonano il trattamento convenzionale per le elevate promesse, ma infondate, della medicina alternativa».

Per quanti riguarda la presunta cospirazione dell’allunaggio della NASA, avrebbe richiesto la partecipazione al complotto di 411.000 persone, cosa che la avrebbe fatta scoprire entro 3 anni 8 mesi. Il presunto complotto delle vaccinazioni inutili, limitandosi alla sola Organizzazione mondiale della sanità e alle agenzie sanitarie statunitensi, richiederebbe la complicità di  22.000 persone, ma la cifra sale a 736.000 persone se, come dicono molti anti-vaccini, la cospirazione includesse le compagnie e farmaceutiche. In questo caso il segreto resisterebbe solo per 3 anni e 2 mesi. Invece la cospirazione contro la cura sul cancro da  parte delle grandi case farmaceutiche e della lobby medica sarebbe stata svelata entro 3 anni e 3 mesi. Per concludere in bellezza, la cospirazione ambientalista/scientifica sul cambiamento climatico sarebbe potuto durare 3 anni e 9 mesi, ma il problema degli ecoscettici è che le prove del cambiamento climatico di origine antropica  invece di diminuire sono aumentate e che il global warming è purtroppo diventato realtà quotidiana. E allora non resta altro che la teoria del complotto.

Grimes ha inoltre calcolato il numero massimo di congiurati che potrebbero partecipare a un complotto riuscendo a mantenere il segreto per almeno 5 anni: non più di 2.521. Mentre per tenere segreto un complotto per  10 anni  bisognerebbe che i congiurati fossero  meno di 1.000. Se poi una cospirazione dovesse durare almeno 100 anni i cospiratori dovrebbero essere al massimo 125, ma alla fine sarebbero tutti morti.

Grimes conclude: «Spero che mostrando quanto siano improbabili certi presunti complotti, alcuni dei loro sostenitori riconsiderino le proprie convinzioni. Ma questo, naturalmente, non convincerà tutti; ci sono ampie prove che la credenza nei complotti è spesso più ideologica che razionale».

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Scoperte planarie aliene in Italia: la minaccia strisciante alla biodiversità del suolo

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Planaria 1Il suolo rappresenta uno degli ambienti terrestri più ricchi di specie e la sua biodiversità, pur essendo scarsamente conosciuta, offre importanti servizi ecosistemici come il ciclo dei nutrienti e la fertilità del suolo.

L'introduzione ad opera dell’uomo di planarie terrestri al di fuori dell’area in cui sono naturalmente presenti può mettere a repentaglio le comunità del suolo, come lombrichi, molluschi e altri invertebrati.

Lo studio “First report of the land planarian Diversibipalium multilineatum (Makino & Shirasawa, 1983) (Platyhelminthes, Tricladida, Continenticola) in Europe”, pubblicato su Zootaxa da un team internazionale che comprende gli italiani Giuseppe Mazza, Mattia Menchetti ed Elena Tricarico (università di Firenze), Luca Cavigioli (Società di Scienze Naturali del Verbano Cusio Ossola) e Emiliano Mori (Università di Torino) e ricercatori olandesi, spagnoli e francesi,  documenta proprio la prima popolazione di planarie terrestri aliene, ossia non native, scoperta in Italia. La specie trovata in un giardino privato a Bologna si chiama Diversibipalium multilineatum e l’articolo la segnala per la prima volta in Europa.

Gli esemplari della nuova popolazione bolognese di Diversibipalium multilineatum sembrano essere geneticamente identici ad altri individui trovati in Francia a Léguevin, la cui presenza è ugualmente riportata per la prima volta nello stesso articolo.

I ricercatori italiani spiegano che «La biologia di questa planaria, originaria del Giappone ma introdotta anche in Corea del Sud, è quasi del tutto sconosciuta, anche se probabilmente è simile a quella di Bipalium kewense, una specie introdotta in varie parti del mondo e intercettata sporadicamente anche in Italia.
Questi vermi piatti, in seguito a danneggiamento del corpo o alla necessità di riprodursi in via asessuale, possono rigenerare parte del loro corpo, cosicché individui completi possano nascere anche dai vari frammenti. Di fatto, alcune specie sono anche in grado di riprodursi sessualmente e di deporre uova. Sono proprio le uova e il corpo degli adulti delle specie Bipalium kewense e B. adventitium a contenere tetrodotossina (TTX), sostanza letale presente anche nei pesci palla».

Come abbiamo già scritto nel marzo 2014 su greenreport.it (“Il killer delle chiocciole è arrivato in Europa”), alcune planarie terrestri, tra cui la planaria killer Platydemus manokwari  e Arthurdendyus triangulatus, sono state responsabili del declino di popolazioni di molluschi e lombrichi in varie parti del mondo. «Infatti – spiegano ancora i ricercatori dell’università di Firenze -  le prede di queste planarie sembrano avere poche difese: lasciano  tracce odorose che vengono seguite da questi letali predatori, quindi, oltre ad avere un forte impatto sull’ecosistema, queste specie possono arrecare danni all’agricoltura».

Probabilmente anche la specie che è stata ritrovata a Bologna ha caratteristiche simili, che la rendono un pericoloso coinquilino per la fauna del suolo. Ulteriori ricerche potranno chiarirne biologia e impatti ecologici.

Quindi, anche se sono già stati descritti casi di questo tipo in varie parti del mondo, questo problema in Italia è stato portato alla luce solo adesso e i ricercatori mettono in guardia su ulteriori possibili ritrovamenti nel nostro Paese di questa specie e di altre simili.

Dal momento che spesso questi animali sono osservati in giardini privati o comunque in ambienti fortemente antropizzati, qualora venissero rilevati, si raccomanda di contattare Mattia Menchetti, uno dei ricercatori coinvolti in questo studio.

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