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Dai cambiamenti climatici «impatto sempre più negativo per almeno i prossimi 5 anni»

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cambiamenti climaticiSul dibattito scientifico in merito ai cambiamenti climatici è piombata una certezza in più. Il bollino dell’ufficialità è arrivato prima dalla Noaa (la National oceanic and atmospheric administation degli Stati Uniti) e dalla Nasa, infine dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo): il 2015 è ufficialmente l’anno più caldo di cui l’uomo abbia memoria. La temperatura superficiale media globale ha battuto l’anno scorso tutti i record precedenti e, sottolineano i meteorologi, l’ha fatto con margine «sorprendentemente ampio». La temperatura è risultata essere più alta di 0,76 °C rispetto alla media registrata negli anni 1961-1990, e di circa 1 °C più alta se confrontata con quella dell'era pre-industriale.

In realtà, il 2015 rappresenta l’apice del riscaldamento globale in un periodo in cui i record non hanno fatto altro che rincorrersi, anno dopo anno. Prima ci fu il caldo record del 2008; poi venne quello del 2005, scalzato a sua volta dal 2010 e poi ancora dal 2014. Infine, è arrivato il guinness dei primati per il riscaldamento globale è arrivato nelle mani del 2015. Può essere un caso?

Alla sempre più esigua fetta degli scettici del cambiamento climatico, ha risposto ieri uno studio pubblicato su Nature da parte di un team internazionale di ricerca. L’analisi (che tra l’altro è stata completata prima che fossero disponibili anche i dati relativi alle temperature del 2015) mostra chiaramente come, senza le emissioni di gas serra dovute all’utilizzo di combustibili fossili, sarebbero state «estremamente piccole» le probabilità di inanellare dal 2000 a oggi 13 dei 15 anni più caldi mai registrati. Per la precisione, queste probabilità «sono tra 1 su 5000 e 1 su 170.000», sintetizzano dal Postdam institute for climate impact research, che ha partecipato allo studio.

Se nell’analisi si includesse anche il 2015 tali probabilità si assottiglierebbero ancora, e di parecchio. «Il 2015 è stato, di nuovo, l'anno più caldo mai registrato, e questo – ha sottolineato Stefan Rahmstorf, coautore della ricerca – non può essere un caso. Le variazioni climatiche naturali semplicemente non possono spiegare i recenti record di calore globali osservati, ma il riscaldamento globale può dovuto all’attività umana può farlo. Il rischio di estremi di calore è stato moltiplicato a causa della nostra interferenza con il sistema Terra».

È in questo contesto drammatico che nel dicembre scorso i leader di quasi 200 paesi si sono riuniti a Parigi per la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, l’ormai celebre Cop21. L’accordo siglato alla Conferenza è insufficiente per mantenere il riscaldamento globale entro i 2 °C, il limite di sicurezza individuato dalla scienza per evitare cambiamenti climatici catastrofici e irreversibili. Nonostante tutto, la Cop21 ha smosso una sensibile forza di cambiamento per la difesa del clima – e, in definitiva, del benessere umano –, che aspetta però di essere concretamente attuata. Tutti i Paesi, specie quelli industrialmente avanzati come l’Italia sono chiamati a fare la propria parte, e velocemente. Il cambiamento climatico avrà un impatto sempre più negativo per almeno i prossimi cinque anni – ha avvertito il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Petteri Taalas – Questo sottolinea la necessità di investire nell'adattamento, oltre che sulla mitigazione» dei cambiamenti climatici.

L. A. 

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L’Ue non ha imparato niente dal dieselgate? La lobby dell’auto forza i limiti alle emissioni

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05/04/2007 CONVEGNO DELLA MARGHERITA SU ECOLOGIA E TECNOLOGIA NELLA FOTO FRANCESCO FERRANTE © STEFANO CAROFEI / AGFNella sessione plenaria del Parlamento europeo che si terrà nella prossima settimana avrete la possibilità di fermare un tentativo della lobby dell'automobile che in spregio dell'ambiente, alla salute e ai diritti dei consumatori vorrebbe - con la complicità della Commissione - aumentare i limiti per le emissioni inquinanti delle automobili.

Come sapete bene ormai da molto tempo erano emersi dubbi sulle emissioni reali delle automobili e sulla distanza tra le stesse e quelle dichiarate. Tutte le case automobilistiche sembrava infatti che approfittassero della possibilità di fare test in condizioni assai favorevoli. E il clamoroso caso che ha coinvolto la Volkswagen in Usa ha dimostrato quanto quei dubbi fossero fondati.

Per mettere un freno a tutto ciò la Commissione Ue, in accordo con il Parlamento e il Consiglio, aveva adottato nel maggio scorso un nuovo regolamento sulle Misure in condizioni di guida reale (Real driving rmissions - Rde) che prevedeva l’introduzione dal gennaio 2016 di test di sperimentazione su veicoli in strada, con dispositivi portatili di misura delle emissioni.

Ma con un colpo di coda l’industria automobilistica e la sua lobby è riuscita a far passare a ottobre nel Comitato tecnico veicoli (un organo burocratico della Commissione) un Regolamento che prevede il cosiddetto “fattore di conformità” per determinare "i limiti da non superare", che sarebbero molto diversi da quelli indicati nella normativa Euro5/Euro6. La proposta di Regolamento infatti contraddice e mina la legge fondamentale, consentendo di superare del 110% il limite di NOx fino al 2021 - sostituendo il valore limite 80 mg/km con 168 mg/km - e del 50% in seguito - cambiando il limite da 80mg a 120 mg/km dal 2021 per tutti i veicoli diesel venduti sul mercato dell'Ue. A proposito di “euro-burocrazia”,  la decisione in merito all'introduzione di questi “fattori di conformità” per le emissioni in condizione di test di guida reale è stata presa da funzionari non eletti in un gruppo di lavoro tecnico. Ma, di fatto, riscrive i limiti di emissione previsti nella legislazione comunitaria che invece avevate deciso in Parlamento. Questo evidenzia l'influenza della lobby dell'industria automobilistica sulla Commissione europea, che mette a rischio  lo stesso processo decisionale democratico nell'Ue. Per questi motivi, la commissione Ambiente del Parlamento europeo ha raccomandato di respingere la decisione: è quindi necessario che in plenaria si confermi quella maggioranza per stoppare questo incredibile tentativo delle lobby.

Gentili eurodeputati, siete di fronte ad una scelta secca: sostenere i valori limite di emissione che sono stati adottati per affrontare l'impatto sulla salute pubblica causata dagli inquinanti dalle automobili o offrire una copertura ai costruttori di automobili che infrangono la legge, legalizzando la loro violazione? Noi confidiamo nel vostro senso di responsabilità ma terremo d'occhio le indicazioni di voto di tutti i Gruppi e il voto di ciascuno di voi, e ne daremo ampia comunicazione. Non perdete quest'occasione per dimostrare che l'Europa può essere "amica" dei cittadini!

di Francesco Ferrante, Green Italia

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Per la localizzazione delle discariche i criteri generali devono essere definiti dallo Stato

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discaricaLa Regione non può individuare i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti prima dello Stato, perché non ne ha la competenza. Lo ricorda il Tribunale amministrativo della Lombardia (Tar) – con sentenza n. 108 – in riferimento al Programma regionale di gestione dei rifiuti approvato dalla Giunta regionale della Lombardia.

Un programma contestato da una società che gestisce una discarica di inerti nel Comune di Montichiari (Bs). Per tale discarica la società ha richiesto l’ampliamento, che la Provincia ha negato perché il progetto di allargamento dell’impianto contrasterebbe con il Programma regionale di gestione dei rifiuti. In particolare il richiesto ampliamento sarebbe impedito dalla circostanza che il Comune in cui è situata la discarica avrebbe già un numero di impianti che determinerebbe il superamento del Fattore di Pressione per le discariche, stabilito in 160.000 m3/Km2, ovvero non più di 160.000 metri cubi di rifiuti già collocati in discarica per ogni chilometro quadrato. Un Fattore di Pressione che sarebbe finalizzato a limitare la realizzazione di impianti di rifiuti nelle aree in cui questi risultano già presenti con elevata concentrazione e quindi determinano un rilevante impatto negativo sull’ambiente circostante.

Il Codice ambientale (Dlgs 152/2006 e successive modifiche) stabilisce che è di competenza delle regioni la definizione di criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, e la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento e la determinazione, nel rispetto dei criteri generali e delle norme tecniche individuate dal legislatore. Ossia il fatto che spetta allo Stato indicare i criteri generali per le caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Sono inoltre di competenza dello Stato l’indicazione dei criteri e delle modalità di adozione, secondo principi di unitarietà, compiutezza e coordinamento, delle norme tecniche per la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi e di specifiche tipologie di rifiuti.

La normativa attribuisce esplicitamente allo Stato la potestà, esclusiva, di individuare i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Soltanto all’esito di una tale fase preliminare le Regioni possono definire a loro volta i criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione dei predetti impianti. Tale conclusione trova il suo fondamento nella competenza statale, esclusiva, in materia di tutela dall’ambiente come stabilito dalla Costituzione.

Dunque, attualmente non si rinviene nella normativa statale la presenza di un criterio che consenta alle Regioni di introdurre un limite di localizzazione delle discariche, legato alla saturazione del territorio, come il Fattore di Pressione, quale indice cui sottoporre la possibilità di realizzare una discarica in un determinato territorio.

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Raccolta differenziata dei rifiuti, parte a Calcinaia l’esperimento per la tariffa puntuale

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calcinaia rifiuti tariffa puntualeIl Comune di Calcinaia, poco più di 12mila anime in Provincia di Pisa, ha dimostrato nel tempo e coi fatti una buona propensione alla raccolta differenziata dei rifiuti. Sia i dati certificati dall’Agenzia regionale recupero risorse (Arrr) per il 2014, sia i più recenti aggiornamenti diffusi per il 2015 da Geofor – l’azienda che svolge le attività di gestione dei rifiuti sul territorio – mostrano come a Calcinaia la raccolta differenziata arrivi vicino alla soglia dell’80%, ovvero già oltre l’obiettivo del 70% cui la Regione Toscana punta a raggiungere nel suo complesso entro il 2020.

Sarà dunque per questo fruttuoso humus culturale mostrato dai cittadini, per il territorio non troppo esteso del Comune o per altri fattori ancora, ma è proprio Calcinaia a essere stata scelta (dall’amministrazione comunale e dall’Unione dei comuni della Valdera) come apripista per sperimentare lo strumento della tariffa puntuale. In cosa consiste? Da Geofor spiegano che «la  tariffazione puntuale prevede che sia il volume di rifiuto indifferenziato prodotto, calcolato sulla base del numero di svuotamenti del mastello grigio, a influire in maniera sostanziale sull’entità della tariffa da pagare».

In particolare, gli utenti domestici (le famiglie) potranno effettuare da oggi la prenotazione per far apporre il tag al proprio mastello dell’indifferenziato, un’operazione fondamentale per il funzionamento della tariffa puntuale: basteranno pochi minuti per adeguare il proprio mastello e, contestualmente, ricevere il kit di sacchetti per l’anno in corso. Diverso il procedimento per le utenze non domestiche. esercizi, negozi e imprese saranno sottoposti alla pesatura puntuale per una gamma più ampia di tipologie di rifiuti. Per loro, la tariffa puntuale entrerà in funzione non solo per l’indifferenziato, ma anche per il multimateriale leggero e l’organico: sarà la stessa Geofor a pensare direttamente alla taggatura dei loro contenitori, visitandole tutte.

Che si tratti di utenti domestici o imprese, spiegano da Geofor, la misurazione dei rifiuti «è fatta per ottemperare al principio comunitario “chi inquina paga”. Sostituirà il sistema di tassazione basato sui metri quadri e sui componenti dei nuclei familiari, producendo così una bolletta più equa. L’importo sarà quindi calcolato in base all’effettiva produzione dei rifiuti, incentivando una minor produzione degli stessi e una maggior raccolta differenziata».

Queste almeno sono le premesse con cui si presenta la tariffa puntuale, ma saranno soddisfatte? Per rispondere con dati e non con ipotesi o propaganda, nella sperimentazione della tariffa puntuale il Comune e Geofor saranno coadiuvati dalla collaborazione con la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. «Tutto ciò – sottolinea l’azienda – aiuterà a creare un prototipo di pesatura e tassazione puntuale che, a richiesta, potrà essere applicato in tutte le realtà che hanno la raccolta domiciliare diffusa su tutto il territorio o analoghi sistemi informatizzati di raccolta».

Ad oggi la cronaca, anche toscana, parla di un impatto non univoco in termini di sostenibilità ambientale ed economica. La tariffa puntuale è infatti generalmente associata a più alte percentuali di raccolta differenziata, ma cosa assicura che tra i motivi di questo slancio non ci siano comportamenti disonesti da parte dei cittadini, desiderosi di ottenere sconti sulla tariffa? Non è facile controllare che parte dell’indifferenziato non venga indebitamente “smistato” nei sacchetti della differenziata, o ancor peggio impedire che vada ad alimentare discariche abusive sul territorio.

Di fronte a questi dubbi, da qui a dicembre (quando verrà fatta una prima analisi del percorso compiuto) Calcinaia sarà protagonista di una vera innovazione, gestionale e politica ancor prima che ambientale: come insegna l’economia sperimentale, testare un’ipotesi per verificarne l’effettiva efficacia è una buona pratica sempre più necessaria.

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Parco di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli: Legambiente punta su Manfredi presidente

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fabrizio manfrediSi è chiuso in questi giorni il bando per il rinnovo della Presidenza del Parco, con numerose candidature che testimoniano l'interesse per un territorio unico in Italia e in Europa. Legambiente chiede alla Regione e alla Comunità del Parco una scelta all’insegna della continuità, confermando per il secondo mandato Fabrizio Manfredi alla guida dell'Ente.

La determinazione che Manfredi ha dimostrato nei quattro anni trascorsi alla guida del Parco, assumendosi l'onere di presiederlo nel periodo più difficile della sua lunga storia, con il commissariamento e il blocco dei bilanci durante tutto il mandato, ma difendendone l'identità e l'autonomia e lavorando per il suo rilancio, sono a nostro parere comportamenti e qualità che meritano di essere messi alla prova in un secondo mandato che veda finalmente sciogliersi i vincoli che hanno ingessato la vita del Parco dal 2012 a oggi.

Al di là della diversità di vedute su specifici temi e su specifiche scelte, siamo certi che il confronto schietto con Manfredi avverrà nella comune convinzione che la difesa delle qualità straordinarie del Parco, della sua biodiversità, dei suoi paesaggi e della sua cultura, comporta un ruolo forte e autonomo dell'Ente, paritario rispetto alle altre amministrazioni che di esso fanno parte.

Rivolgendoci a Enrico Rossi, alla Giunta, al Consiglio Regionale e ai Comuni del Parco, confidiamo nel fatto che Manfredi sia confermato alla Presidenza, a garanzia della risoluzione dei problemi principali del Parco, dallo sblocco dei bilanci alle attività di ristrutturazione e riuso del patrimonio immobiliare di San Rossore, dal risanamento del Lago di Massaciuccoli agli interventi di tutela del patrimonio forestale, dal rilancio dell'agricoltura e dei prodotti tipici, nel segno della tutela ambientale e della promozione di un turismo locale davvero sostenibile.

di Fausto Ferruzza* e Matteo Tollini**

*Presidente di Legambiente Toscana

**Responsabile Parchi e Biodiversità di Legambiente Toscana

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Anche i fotografi italiani si schierano in difesa del Centro ricerca e documentazione del Padule

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Centro di ricerca padule di fucecchioMi chiamo Alessandro Magrini e sono presidente dell’Afni (Associazione fotografi naturalisti italiani), un’associazione di volontariato e di promozione sociale che raggruppa la maggioranza dei più noti fotografi e documentaristi della natura d’Italia, professionisti e non, molti dei quali famosi e stimati in tutto il mondo.

Apprendo dai giornali che il Centro di ricerca, documentazione e promozione del Padule di Fucecchio rischia la chiusura, per motivi che non mi sono molto chiari, come non lo sono per molti altri cittadini.

Ho avuto la possibilità e la fortuna di conoscere ed apprezzare fin dagli inizi le belle iniziative del Centro, prima come cittadino appassionato di natura, poi come insegnante, successivamente come guida ambientale escursionistica ed infine come presidente dell’Afni.

Posso dare ampia testimonianza degli importantissimi risultati conseguiti dal Centro e dai suoi operatori nel campo dell’educazione ambientale, della sensibilizzazione e della divulgazione, della ricerca e della conservazione, con l’impulso decisivo dato alla costituzione della piccola Riserva del Padule ed alla sua corretta gestione.

Se oggi nell’area umida si possono osservare molti più uccelli (come numero e come specie) rispetto a venti anni fa, se nei territori circostanti sopravvivono ancora antichissime tradizioni artigianali, come quella della lavorazione delle erbe palustri, se nella popolazione delle città e dei paesi che circondano il Padule è aumentata la consapevolezza del grande patrimonio naturale che il Padule rappresenta e della necessità di preservarlo per le generazioni future, ciò è certamente dovuto anche a chi ha guidato e sostenuto il Centro Rdp nel corso degli anni ed al lavoro appassionato, competente, intelligente dei suoi operatori, Enrico Zarri ed Alessio Bartolini.

La sezione Toscana dell’associazione che rappresento, in particolare, ha collaborato in sinergia con il Centro in numerosi progetti fino dagli anni novanta, contribuendo tra l’altro alla pubblicazione del libro “Gli ultimi rifugi”, con l’aiuto delle province interessate e della Regione, realizzando corsi di fotografia naturalistica aperti a tutti, allestendo mostre come quella effettuata in occasione dell’inaugurazione del nuovo Centro visite della Riserva Naturale.

Ora si legge che alcuni amministratori chiedono senza mezzi termini di porre fine all’esperienza di questa straordinaria Associazione onlus. Ad avanzare questa richiesta sembrano essere soprattutto alcuni sindaci di comuni fuoriusciti dalla stessa. La pochezza delle argomentazioni da essi utilizzate contribuisce a creare nell’opinione pubblica confusione e dubbi sui veri motivi che alimentano questa volontà di smantellare una struttura che a detta di tantissime persone ha ben operato. Molti pensano che le ragioni siano altre, da ricercare nei mali della politica e nei dissidi tra i partiti o interni ad essi.

Il sottoscritto e l’Associazione da me rappresentata vedono in lei, signor Presidente, la figura super partes ideale per giudicare se sia una decisione illuminata ed utile troncare un’esperienza  radicata sul territorio da tanti anni e così apprezzata, per ciò che ha fatto, da moltissime persone e gruppi, e fanno appello alla sua saggezza e lungimiranza affinché il Centro Rdp possa continuare a svolgere le sue benemerite attività, nelle stesse strutture e con il medesimo qualificato personale, non solo nell’interesse dei cittadini e del territorio in cui opera, ma di tutti gli italiani che hanno a cuore la salvaguardia del nostro patrimonio naturale e culturale.

di Alessandro Magrini, presidente dell’Associazione fotografi naturalisti italiani (Afni)

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Programma Life, dall’Ue 63,8 milioni di euro per 6 progetti ambientali

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lifeSei "progetti integrati" individuati all’interno del programma Life per l'ambiente sono stati co-finanziati oggi dall’Unione europea: su una dotazione di bilancio complessiva di 108,7 milioni di euro, 63,8 arriveranno da Bruxelles. I "progetti integrati" – ricorda con l’occasione la Commissione europea – sono stati concepiti per attuare la legislazione ambientale su scala più ampia e aumentare l'impatto dei finanziamenti per i piani elaborati a livello regionale, multiregionale o nazionale; in particolare, tali progetti potrebbero mobilitare e coordinare più di 1 miliardo di euro in finanziamenti complementari provenienti sia da fondi agricoli e regionali dell'Ue, sia da finanziamenti nazionali e privati.

I sei progetti co-finanziati oggi riguardano altrettanti paesi: Belgio, Germania, Italia, Polonia, Finlandia e Regno Unito. Per quanto riguarda lo Stivale, lo stanziamento – pari a 17,3 milioni di euro – è indirizzato al progetto Gestire 2020, il cui obiettivo è la creazione di una struttura di gestione integrata per il raggiungimento degli obiettivi di conservazione, stabiliti nelle direttive Habitat e Uccelli, per la rete regionale Natura 2000 in Lombardia.

«Ecco un esempio dell'Europa che investe direttamente nella qualità di vita dei suoi cittadini – è il commento di Karmenu Vella, commissario Ue per l'Ambiente, gli affari marittimi e la pesca – Per affrontare al meglio le grandi sfide in materia di salute e di ambiente - dall'inquinamento idrico e atmosferico alla perdita di biodiversità, le politiche esistenti devono lavorare puntando a obiettivi condivisi. I progetti integrati vanno esattamente in questa direzione».

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Legambiente, via ai campi di volontariato. Muroni: «Un modo concreto per cambiare le cose»

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campi di volontariato  volontari legambienteAl motto di “naturalmente dirompenti” tornano i campi di volontariato organizzati da Legambiente «per adulti, ragazzi e tutti i tipi di famiglia». Le proposte primaverili, che si concentreranno attorno al periodo pasquale, vedono protagoniste assolute la Toscana e la Sicilia, con esperienze all’insegna della tutela della biodiversità marina, della legalità e della promozione e cura del territorio.

«Il volontariato ambientale è un modo concreto per cambiare le cose – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni –, è uno strumento per denunciare e combattere ingiustizie, inadempienze ed illegalità. Partecipare a un campo significa unire all’esperienza di  viaggio una occasione speciale di socialità e condivisione; di impegno per tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale e culturale dei nostri territori. Nella nostra esperienza, quella dei volontari è una forza davvero dirompente, che cresce e si alimenta grazie all’impegno in prima persona in un contesto comune, ricco di stimoli ed emozioni».

Per quanto riguarda la Toscana, gli amanti del mare possono provare l’esperienza di un viaggio in barca a vela tra le isole dell’Arcipelago toscano, nel cuore del Santuario marino dei cetacei, con partenza dall’Isola d’Elba (LI). L’alloggio sarà su spaziose imbarcazioni e le principali attività previste sono la pulizia delle spiagge accessibili solo dal mare e la raccolta dei numerosi rifiuti galleggianti nelle zone costiere. Sarà possibile avvistare e monitorare i cetacei che vivono nelle acque dell’Arcipelago. L’invito a partecipare è rivolto alle famiglie di ogni tipo (24-28 marzo) e singoli adulti (24-31 marzo), con particolare attenzione alle persone con disabilità fisica, alla cui inclusione nel mondo della vela e della navigazione è dedicato l’impegno dell’Asd Diversamente marinai, che organizza il campo con Legambiente. Chi invece preferisce la montagna può scegliere il Rifugio Cascina Le Cave, situato all’interno della Riserva Naturale Acquerino Cantagallo, sull’Appennino toscano; il Rifugio, un’antica costruzione in pietra immersa in un’area di faggete e castagneti, ospita un Centro di educazione ambientale. I partecipanti saranno impegnati in lavori di ripristino della struttura, allo scopo di renderla più accogliente, e in attività di raccolta della legna e pulizia dei sentieri limitrofi (25-29 marzo).

Infine, meta prescelta per il volontariato in Sicilia è invece Favignana (TP), nell’Area marina protetta delle Isole Egadi: qui i volontari alloggeranno a Casa Macondo, villetta sequestrata alla mafia e destinata ad usi sociali, e si sposteranno in bicicletta per effettuare lavori di manutenzione, catalogazione dei rifiuti in spiaggia e rigenerazione del verde pubblico, del campo sportivo e delle case popolari (24-30 marzo).

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Il declino dell’eolico italiano: in 3 anni persi 11mila posti di lavoro

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eolico_1L'eolico ha il vento in poppa nel mondo, ma perde progressivamente terreno in Italia. Il funzionamento tutt’altro che ottimale delle aste e dei registri, un non trascurabile effetto nimby diffuso sui territori e la miopia delle politiche di governo hanno contribuito ad alzare il freno a mano sul settore. L’Anev (Associazione nazionale energia del vento) dichiara oggi che sono stati solo 295 i MW di nuova potenza eolica installati in Italia nel 2015. Certo, sempre più che i 107 MW installati nel 2014, ma briciole rispetto 1.200 MW protagonisti nell’Italia del 2012.

Un crollo verticale, che non poteva non avere ricadute anche in termini occupazionali. «Le aziende del settore sono costrette a fuggire all’estero o a chiudere – sottolineano dall’Anev – perché non in grado di sopravvivere in un settore penalizzato come quello eolico. Il dramma si ripercuote purtroppo sui lavoratori del settore. Si è passati da circa 37.000 occupati nel 2012, ai 34.000 nel 2013, ai 30.000 del 2014 e ai 26.000 nel 2015. Tale declino è ingiustificabile se riferito ad un settore che invece al 2020 dovrebbe impiegare oltre 40.000 addetti per arrivare ai 67.000 occupati che si avrebbero se si raggiungesse l’obiettivo di riduzione delle emissioni e di incremento delle Fer assunto dall’Italia al 2020. Settore che  ha inoltre tutti i margini per crescere ancora e apportare benefici al nostro Paese, in termini di sviluppo e crescita economica, soprattutto nelle regioni meridionali dove c’è più carenza di lavoro».

Quella dell'eolico è un’industria di prospettiva, con tecnologie affinate nel tempo (dagli antichi mulini alle odierne pale ne è stata fatta di strada), ma per progredire necessita di un quadro normativo chiaro e stabile, non penalizzante. Non a caso l’Anev mette nel mirino la politica «poco lungimirante» del governo e le sue contraddizioni, e in particolare il ritardo del ministero dello Sviluppo economico nell’adozione del decreto sulle rinnovabili non fotovoltaiche, che secondo le scadenze avrebbe dovuto essere emanato a fine 2014, ma non è mai arrivato.

«È passato un anno – denuncia l’Anev – e ancora il settore eolico è in attesa del provvedimento, che riguarda lo sviluppo di impianti per gli anni 2015 e 2016. Come evidente se anche uscisse subito, ben oltre la metà della sua efficacia non potrebbe svolgersi in quanto già passato il periodo di applicazione. Un tale atteggiamento da parte delle istituzioni è scandaloso e sintomatico del totale disinteresse per temi di notevole urgenza, come l’ambiente e i cambiamenti climatici, che rende vana ogni parola spesa in occasione della Cop21 di Parigi, dove l’Italia ha preso degli impegni per la riduzione delle emissioni clima alteranti al cospetto del consesso mondiale. Le contraddizioni di questo governo sono inoltre evidenti laddove, dopo gli impegni di Parigi, blocca le rinnovabili per favorire le tecnologie inquinanti. Infatti nella bozza nel DM Rinnovabili non fotovoltaiche si fa un regalo agli inceneritori con una tariffa incentivante molto significativa, mentre vengono penalizzate le tecnologie come l'eolico che subiscono tagli eccessivi. Non solo, ma nel DL Stabilità è stata concessa una proroga del periodo di incentivazione per i vecchi impianti a biogas, a scapito di tecnologie più moderne e pulite come l'eolico».

Il risultato, amaro e scontato, vede il declino dell'eolico in Italia come paradigma di una tendenza ormai diffusa anche tra le altre energie pulite: mentre a livello globale gli investimenti continuano a crescere poderosi, l’Italia – che pure era riuscita a conquistare una posizione di vertice in molti settori – scivola in basso. Un declino non inevitabile, ma che per arrestarsi ha (avrebbe) bisogno di un netto cambio di marcia innanzitutto in ambito di regia politica.

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Corruzione: per Transparency international l’Italia migliora, ma è ancora penultima in Europa (VIDEO)

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Corruzione 0Il rapporto Corruption perceptions index  (Cpi - Indice della corruzione percepita)  di Transparency international misura la corruzione nel settore pubblico e politico di 168 paesi nel mondo. Nel Cpi 2015, la 22esima edizione del rapporto pubblicata oggi, l’Italia si classifica al 61esimo posto nel mondo, con un voto di 44 su 100. «Rispetto allo scorso anno – sottolinea Transparency International Italia – si assiste a un minimo miglioramento nel giudizio sul nostro Paese, che infatti guadagna un punto (da 43 a 44) e 8 posizioni nel ranking mondiale (da 69 a 61). Pur migliorando a livello globale rispetto agli anni precedenti, la posizione dell’Italia rimane purtroppo in fondo alla classifica europea, seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58esima posizione con un punteggio di 46».

Presentando il Cpi 2015, Virginio Carnevali, presidente di Transparency international Italia, ha detto: «Constatiamo con piacere che finalmente si è avuta un’inversione di tendenza, seppur minima, rispetto al passato, che ci fa sperare in un ulteriore miglioramento per i prossimi anni. Come dimostra la cronaca, la strada è ancora molto lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si possono raggiungere. In questi giorni la Camera ha approvato le norme sul whistleblowing, le pubbliche amministrazioni stanno diventando via via più aperte e trasparenti, una proposta di regolamentazione delle attività di lobbying è arrivata a Montecitorio. Azioni queste che denotano come una società civile più unita su obiettivi condivisi e aventi come focus il bene della res publica porti necessariamente un contributo fondamentale al raggiungimento di traguardi importanti».

Il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, ha evidenziato che «un passo in avanti del nostro Paese nelle classifiche internazionali sulla percezione della corruzione è sempre una buona notizia. Per compiere un salto di qualità importante occorre però un ruolo più forte della società civile che deve acquisire la consapevolezza che un sistema dove è grande la corruzione non crea ricchezza e alimenta profonde distorsioni del mercato. La battaglia per legalità e trasparenza è resa meno difficile dalla rivoluzione digitale in atto, e anche su questo fronte occorre insistere con decisione per fare della macchina pubblica un attore trasparente, imparziale e rispettoso delle regole del mercato». Il primo e forse più trascurato mezzo per prosciugare la corruzione i Italia rimane infatti quell'atteso e mai davvero arrivato slancio del comparto pubblico - tutto, dal legislatore nazionale al più piccolo amministratore - verso la chiarezza normativa. Bonificando la palude di leggi e cavilli ridondanti e contraddittori, che bloccano cittadini e imprenditori onesti, e dove invece criminali e corruttori trovano il loro habitat ideale per prosperare. La certezza del diritto, e quella del dovere, rimane per l'Italia una delle vie maestre sulla quale costruire il proprio rilancio, sociale, civile, industriale: anche il terreno della green economy, da questo punto di vista, non fa certo eccezione.

Se dall'Italia si allarga lo sguardo al resto del mondo, fa particolarmente impressione il crollo del Brasile nel Cpi 2015: il caso Petrobras, la compagnia petrolifera di Stato, ha fatto perdere al colosso sudamericano ben 5 punti, facendolo passare dal 69esimo al 76esimo posto. In testa e in coda al Corruption perceptions index la situazione resta invece praticamente invariata. Somalia e Corea del Nord (entrambe a 8 punti) si confermano anche quest’anno come i due Paesi più opachi, preceduti da Afghanistan (11 punti), Sudan (12), Sud Sudan e Angola (15), Libia e Iraq (16), Venezuela e Guinea Bissau (17).

Il Paese meno corrotto del mondo è la Danimarca (91 punti) e gli altri campioni della top ten della trasparenza sono Finlandia (90), Svezia (89), Nuova Zelanda (88), Olanda e Norvegia (87), Svizzera (86), Singapore (85), Canada (83), Germania, Lussemburgo e Gran Bretagna (81).

I Paesi che scendono maggiormente nella classifica Cpi 2015 sono l’Australia liberaldemocratica che ha dovuto cambiare premier, il Brasile, la Spagna governata dai Popolari e la Turchia islamista e repressiva di Erdogan. A fare il salto maggiore nell’indice di trasparenza sono la Grecia di Syriza e di Tsipras, il Senegal che si è liberato del precedente governo corrotto, e la Gran Bretagna conservatrice.

Il Paese più corrotto del G20 è la Russia (29 punti), preceduta a fondo classifica da Argentina (32), Messico (35), Indonesia (36), Cina (37) e India e Brasile (38). Il paese più virtuoso del G20 resta invece il Canada, seguito da Germania, Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti (76), Giappone (75), Francia (70), Corea del sud (56) e Arabia Saudita (52). L’Italia è nona insieme al Sudafrica e poco prima della Turchia (42 punti).

 

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Perché si spiaggiano così tanti capodogli in Europa? (FOTOGALLERY)

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Capodogli spiaggiati 1Gli ultimi 5 capodogli che si sono spiaggiati sulle coste dell’Inghilterra hanno acceso il dibattito sulle cause che hanno portato alla morte questi giganteschi cetacei. Si pensa che i capodogli appartenessero ad uno stresso branco, composto tutto da giovani maschi, come gli altri 12 che la settimana scorsa sono stati trovati morti sulle coste olandesi e tedesche. I capodogli maschi raggiungono la maturità sessuale a 18-19 anni di età e possono arrivare a 65 - 70 anni.

I capodogli  vivono in mare aperto e cacciano a profondità di circa 3.000 metri, mentre le femmine e i cuccioli preferiscono le acque più calde, i maschi sono stati avvistati spesso al largo dell’Islanda, della Norvegia e delle isole Shetland. Ma i capodogli che entrano nel Mare del Nord rischiano di finire nei guai: lì il fondale della piattaforma continentale europea raggiunge al massimo solo i 200 metri di profondità.

Per spostarsi e cacciare i capodogli si affidano al loro bio-sonar: inviano “click” ed altri impulsi sonori, che rimbalzano indietro dalle superfici lontane, aiutandoli a farsi un quadro chiaro dello scurissimo mondo sottomarino in cui si muovono, ma questa fantastica capacità non funziona bene su un fondale sabbioso e poco profondo, come quello di fronte all’Inghilterra, all’Olanda e alla Germania. Quindi capodogli restano disorientati.

Per quanto riguarda i capodogli spiaggiatisi in Inghilterra, Peter Evans, direttore di  The SeaWatch Foundation,  ha detto alla BBC che «Il pod probabilmente ha seguito un branco di calamari nel Mare del Nord intorno all’inizio del  nuovo anno e poi è rimasto bloccato. Mano a mano che si dirigevano a sud l'acqua diventava meno profonda. Una volta che finiscono su un banco di sabbia per un cetaceo è la fine. Provoca un  collasso cardiovascolare e loro organi iniziare a cedere»

Andrew Brownlow, dallo Scottish Marine Animal Stranding Scheme , che è andato in olanda per eseguire l’autopsia di uno dei capodogli spiaggiati dice che «I cetacei erano in buone condizioni e quindi non erano morti per disidratazione, che può succedere, dato che ottengono tutta la loro acqua dal cibo. Siamo stati anche in grado di escludere uno scontro con una nave o l’impigliamento nelle reti, che sono una causa comune degli spiaggiamenti. Ma non siamo stati in grado di osservare il cervello e quindi non possiamo escludere diverse malattie, o che li abbia spaventati un rumore improvviso».

In Gran Bretagna spiaggiamenti di grossi cetacei vengono riportati fin dal 1762, ma i casi sono in aumento: da una media di una balena spiaggiata all'anno tra il 1940 e il 1980, a 6 all'anno dal 1980 a oggi. Ma Brownlow non pensa che l'aumento del numero degli spiaggiamenti sia necessariamente causato dalle attività antropiche: «Le preoccupazioni sul fatto che stiamo rendendo gli oceani più rumorosi sono valide, perché questo rende più difficile spostarsi alle balene. Tuttavia, è probabile che l'aumento sia dovuto al fatto che ci sono più balene, grazie all'embargo sulla caccia alle balene negli ultimi 30 anni».

Evans spiega che «Le balene normalmente si tengono in stretto contatto tra loro con i sonar e,  di conseguenza, è possibile che abbiano risposto ai segnali di soccorso di uno di loro, che poi ha portato il resto del gruppo ad arenarsi insieme. Le acque al largo dell’East Anglia e le vicine coste meridionali del Mare del Nord dei Paesi Bassi e della Germania sono generalmente basse (spesso meno di 20 metri di profondità) e in leggera pendenza, e quindi  è difficile per le balene trovare punti per la  loro navigazione. Di solito avrebbero utilizzato segnali sonar per trovare una via d'uscita da queste situazioni, ma le acque poco profonde e la vicina inclinati di fango e sabbia banche, che compongono la geografia di queste aree, ma questa non è una situazione ideale per loro e potrebbe aver causato loro delle difficoltà,. Come è probabile in questo caso. Il che è probabilmente anche il motivo per cui questi incidenti sono più frequenti nella parte meridionale del Mare del Nord che, per esempio, nel la costa occidentale delle isole britanniche. Purtroppo, questo genere di cose succede periodicamente, dato che i capodogli si riuniscono in gruppi sociali coesi che noi chiamiamo pods e possono spesso spiaggiarsi insieme, come abbiamo visto nelle ultime settimane, qui e in Olanda e in Germania. I i capodogli del Nord Atlantico normalmente vivono in acque profonde due o tre mila metri in mare aperto. Gruppi di maschi adolescenti migrano ogni anno dalla latitudini tropicali e subtropicali fino alle alte latitudini, come intorno all'Europa Nord-occidentale».

Un’altra causa dello spiaggiamento dei capodogli potrebbe essere un cambiamento delle correnti marine che avrebbe portato acqua è più calda più a nord, incoraggiando i giovani  maschi a restare a mangiare tutto l’anno nelle fosse oceaniche al largo della Norvegia e delle Shetland. Inoltre, i giovani capodogli maschi potrebbero aver abbandonato i loro branchi natali in numero maggiore  perché sarebbe aumentata la concorrenza per accoppiarsi con le femmine.

Alcune associazioni ambientaliste dicono che la morte dei capodogli potrebbe essere stata causata dall’utilizzo di sonar  da parte di qualche nave militare, ma Evans non ne sembra convinto: «Gli zifi sono il gruppo più sensibile ai segnali sonar a media frequenza utilizzati in esercitazioni militari. Naturalmente c’è  la necessità di indagare su tutte le possibili cause di questo spiaggiamento di massa. Tuttavia, in questo caso, almeno attualmente, non è la ragione più plausibile. Una volta che i cetacei sono entrati nel Mare del Nord, avevano un'alta probabilità di restare bloccati e per loro è quasi impossibile disincagliarsi con successo. E’ 'un fenomeno naturale che purtroppo non può essere cambiato».

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C’è la legge anche nell’Oregon. Arrestati i capi dei miliziani che occupano un rifugio nazionale Usa

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Milizia 1Alla fine qualcuno ha applicato la legge anche nell’Oregon: stanotte 7  dei miliziani che occupano il Malheur National Refuge, compreso il loro leader Ammon Bundy e suo fratello Ryan, sono stati arrestati dopo uno scontro a fuoco con gli agenti dell'FBI.

La sparatoria è avvenuta stanotte alle 4,25 ora locale, quando i miliziani della destra primatista bianca di Citizens for Constitutional Freedom stava tornando da un meeting a John Day, una città vicina, e sono incappati in un posto di blocco del Federal Bureau of investigation (FBI) e dell’Oregon State Police. .

In un comunicato l’FBI conferma che uno dei miliziani è morto durante la sparatoria, mentre un  altro militante è stato ferito ma non è in pericolo di vita ed è stato portato in ospedale.  ThinkhProgress  scrive che  l’ospedale della Contea di Burns, nell’Oregon, è stato circondato dalle forze dell’ordine che hanno chiuso anche le strade di accesso.  Evidentemente l’FBI teme che gli altri miliziani prendano d’assalto l’ Harney County District Hospital di Burns per tentare di liberare il loro camerata.

I Bundy e la loro milizia fascistoide dei Citizens for Constitutional Freedom, che qualcuno in Italia e negli Usa vorrebbe far passare per una romantica rivolta dei cowboy dell’Oregon, hanno occupato a mano armata la proprietà federale all'inizio di gennaio, ma le forze dell’ordine hanno fatto ben poco per farli sgombrare. Intanto aumentava l’insofferenza della popolazione di Brurns per l’invadenza e la prepotenza dei miliziani della destra bianca che hanno demolito recinti e vandalizzato altre proprietà pubbliche e private.

I cittadini di Brurns  erano sempre più arrabbiati per la mancanza di volontà di sgombrare la milizia e per l’atteggiamento accondiscendente verso un gruppo estremista armato che si vuole  appropriare con la forza di un bene pubblico. L’atteggiamento tenuto finora dalle forze dell’ordine statali e federali era in contrasto con le azioni decise, ed anche letali, che la polizia usa contro altri gruppi di colore che compiono azioni anche meno eclatanti e pericolose.

In realtà i miliziani vogliono impadronirsi delle terre federali per pascolarci gratuitamente il loro bestiame e vogliono cacciare nelle riserve naturali

Fino alla sparatoria di stanotte erano stati arrestati solo due miliziani, ma perché avevano rubato due auto federali per andarsene a zonzo gratis. Intanto la milizia dei Bundy  aveva addirittura messo in piedi una sorta di processo popolare ed aveva ordinato di arrestare gli amministratori locali di Brurns.

Mentre scriviamo, i miliziani di destra sarebbero ancora barricati nel Malheur National Refuge e non è chiaro cosa intenda fare l’FBI per sgomberarli, soprattutto dopo la sparatoria e gli arresti di questa notte.

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Virus Zika, 4 casi anche in Italia. Le raccomandazioni della Simit sui sintomi e le cause del contagio

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ZikaDopo aver colpito 22 Paesi dell'America Latina, con focolai circoscritti in diverse nazioni quali Egitto, Thailandia, Vietnam, Malesia, Filippine, Uganda, Sierra Leone e negli ultimi anni nel Centro e Sud America, il virus Zika è arrivato in Italia tramite persone che erano state in vacanza in Brasile nel corso dell’ultimo anno. I casi nel nostro Paese sono saliti a 4.

La Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit) soiega che «Il virus Zika è un membro della famiglia di virus Flaviviridae, del genere Flavivirus, scoperto per la prima volta in Uganda nel 1947, nella foresta di Zika. Il virus è correlato alla dengue, alla  febbre gialla, all'encefalite del Nilo occidentale e all'encefalite giapponese, tutte malattie provocate da virus membri della famiglia dei virus Flaviviridae. Viene trasmesso da numerose zanzare del genere Aedes, soprattutto dalla zanzara della febbre gialla e dalla zanzara tigre. Il virus fu isolato nel 1947 da un Macaco Rhesus nella foresta Zika dell'Uganda e nel 1968 fu isolato per la prima volta in esseri umani in Nigeria».

Antonio Chirianni, presidente Simit e direttore del Dipartimento malattie Infettive ed Urgenze Infettivologiche  cdell’Azienda ospedaliera Ospedali dei Colli "Monaldi-Cotugno-CTO" di Napoli, sottolinea che «La malattia nel 25% decorre in maniera asintomatica. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è lieve manifestandosi con febbricola, esantema, congiuntivite. Al momento il problema più importante è che sembra che ci siano bambini, nati da donne che hanno avuto l’infezione durante la gravidanza, che hanno presentato una microcefalia. L’allerta di oggi infatti è successiva alle raccomandazioni dei CDC americani che consigliano alle donne che desiderano avere un figlio di non visitare quei paesi o di posporre il viaggio».

 Le raccomandazioni attuali prevedono che tutte le persone che presentano febbre nelle 2 settimane successive al rientro da zone endemiche devono essere valutate in un centro specialistico. Utile, per chi si reca in zone endemiche, prevenire le punture delle zanzare coprendo la superficie cutanea quanto più possibile, evitando di esporsi in particolare al tramonto, usando repellenti e dove richiesto anche utilizzando tende. Non esiste alcun vaccino contro il virus Zika né alcun tipo di terapia.

Chirianni ricorda che Il virus viene trasmesso dalle zanzare.  Il virus , inoltre, è presente nel sangue delle persone infette e quindi potrebbe essere trasmesso mediante trasfusioni di sangue  e l’Oms rivela che "il virus Zika è stato isolato nel liquido seminale umano, ed è stato descritto un caso di possibile trasmissione sessuale da persona a persona"».

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Etichetta energetica, ora si può calcolare con NSP LabelPack A+

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LabelPack+Nei giorni scorsi al Politecnico di Milano si è tenuto il primo incontro della National Stakeholders Platform (NSP), la piattaforma nazionale che raccoglie ad oggi 20 soggetti coinvolti, a vario titolo, nell’etichettatura energetica dei sistemi di riscaldamento e produzione di acqua calda. E’ nata così ufficialmente la piattaforma italiana sull’etichettatura energetica dei sistemi per riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria: uno strumento in più nelle mani dei cittadini per scegliere la strada dell'efficienza energetica.

L’obiettivo della NSP è quello di «formare ed informare installatori, progettisti, rivenditori e consumatori sull’etichetta energetica di insieme – dicono gli organizzatori -  Grazie al progetto Labelpack A+, finanziato dalla Commissione Europea attraverso il programma Horizon 2020, in due anni verranno formati direttamente diverse centinaia di installatori, progettisti e rivenditori ed emesse diverse migliaia di etichette energetiche per impianti solari, per un totale stimato di oltre 50.000 m2 di collettori e una produzione di energia solare pari a circa 30.000 MWh annui».

Dal settembre 2015  i regolamenti europei n. 811 e 812/2013 obbligano i produttori ad allegare agli apparecchi venduti un’etichetta energetica recante informazioni relative ad efficienza e impatto ambientale, permettendo ai clienti finali di orientarsi meglio tra le soluzioni disponibili sul mercato. In molti casi le soluzioni proposte comprendono diverse tecnologie, per esempio una caldaia con abbinato un regolatore di temperatura e pannelli solari: si parla allora di etichetta di insieme o di sistema. Questa deve essere obbligatoriamente fornita al consumatore finale a cura di chi sceglie i prodotti che costituiscono il pacchetto: produttore, rivenditore o installatore.

La NSP si fa anche promotrice verso i consumatori e gli installatori di iniziative informative e formative relative proprio all’etichetta energetica di insieme, soprattutto quando ad essere etichettati sono sistemi composti da prodotti di marca diversa.

Ed è per questa ragione che nasce Calcola la tua etichetta, lo speciale calcolatore sviluppato attraverso il progetto LabelPack A+, finanziato dal programma Horizon2020 dell’Unione Europea, che permette di calcolare correttamente l’etichetta per i nuovi sistemi di riscaldamento.

Alla National Stakeholders Platform, guidata da Assolterm, hanno aderito oltre a Legambiente, aziende produttrici di tecnologia e le loro associazioni, enti normativi e di ricerca, associazioni di consumatori e ambientaliste, editori specializzati.

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Una speculazione edilizia sulla costa di Capraia? La risposta del direttore dei lavori

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Capraia 1In relazione all’articolo apparso sulla rivista online greenreport.it del giorno 13.11.2015, la società SOLMAR Srl, ed il sottoscritto Riccardo Porciatti architetto, rispettivamente concessionaria e Direttore dei Lavori dell’intervento segnalato, premesso che l’intervento risulta regolarmente autorizzato da tutti gli enti territorialmente competenti con il conseguente rilascio di tutti i nulla osta, autorizzazioni e permesso di costruire atti alla costruzione del fabbricato previsto,

tengono a precisare che le affermazioni riportate nell’articolo di cui sopra risultano totalmente inesatte in quanto:

  • Errata indicazione della superficie da realizzare; la Normativa Urbanistica Comunale vigente quale la “Variante al Programma di Fabbricazione ex art. 17 della L.R. 1/2005 per Individuazione di aree di riqualificazione ambientale” Approvata con Delibera di C.C. n.42 del 25.09.2008 e pubblicata sul BURT n.54 del 24.12.2008, ed il Piano Strutturale approvato con Delibera di C.C. n.04 del 22.02.2012, Scheda UMI 1 Ambito Porto, ammettono una edificabilità massima pari a mq. 400 di Slp.

La superficie prevista dal Progetto approvato e di cui al Permesso di Costruire 01/2015 è pari a mq. 398 inferiore a quella massima. L’aver falsamente indicato nell’articolo apparso sulla testata greenreport, una superficie di mq. 1163 appare del tutto fuorviante la dimensione al solo scopo di rendere sproporzionata la realtà dei fatti.

  • Errata indicazione della destinazione d’uso: nell’articolo si descrive un Progetto approvato per n. 4 appartamenti e 3 negozi; il Progetto approvato prevede al Piano Terra la destinazione Commerciale per 4 negozi ed al Piano primo quella Turistico Ricettiva.
  • Valutazione di incidenza: sull’aspetto si rileva infine, come la Valutazione di Incidenza faccia parte integrante e sostanziale della Variante al Pdf richiamata al punto 1) e abbia preso in considerazione le nuove previsioni urbanistiche previste sia nell’area Porto che in quella Paese dell’Isola di Capraia. Il Rapporto di Valutazione di incidenza risulta documentazione obbligatoria ai fini dell’approvazione degli atti urbanistici comunali.

Tanto si doveva per doverosa precisazione oltreché una corretta informazione giornalistica da parte della testata greenreport.

Allegati: NULLA OSTA SOPRINTENDENZA DI PISA N. 2766/BN DEL 14.09.2011; NULLA OSTA AUTORITA’ PORTUALE DI LIVORNO; NULLA OSTA AGENZIA DELLE DOGANE; PERMESSO DI COSTRUIRE N.01/2015

di SOLMAR S.r.l., Riccardo Porciatti Architetto

La nostra risposta: Nell’articolo citato si parla di “terreno edificabile in residenziale di 1.163 mq”, non di superficie edificata. Inoltre, al di là della destinazione d'uso, la tipologia della costruzione sembra confermata. Facciamo notare che la nota di Legambiente, frutto a quanto ci risulta di segnalazioni arrivate direttamente da Capraia, chiedeva chiarimenti rispetto all'intervento edilizio; spiegazioni che finalmente sono arrivate ma che ci sembra lascino intatte le perplessità di altro tipo degli ambientalisti, che riguardano questi ed altri progetti nell'Arcipelago toscano.

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Fao, la biodiversità fondamentale per nutrire un mondo sempre più caldo

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biodiversitàSecondo un nuovo rapporto della Fao pubblicato oggi, allevatori e responsabili politici sono sempre più interessati a sfruttare la biodiversità animale per migliorare la produzione e la sicurezza alimentare in un pianeta sempre più affollato e con un clima sempre più caldo. L'agenzia avverte che ciononostante molte razze animali pregiate continuano a essere a rischio e chiede maggiori sforzi per utilizzare le risorse genetiche in modo sostenibile.

Secondo il Rapporto sullo Stato delle Risorse Genetiche Animali del mondo per l'Alimentazione e l'Agricoltura, circa il 17% (1.458) delle specie animali domestiche sono a rischio di estinzione, mentre sullo stato di rischio di molte altre specie (58%) semplicemente non si sa molto a causa della mancanza di dati sulle dimensioni e sulla struttura delle loro popolazioni. Tra il 2000 e il 2014 si sono estinte quasi 100 razze di bestiame.  I dati per paese mostrano che la causa principale dell’erosione genetica sono gli incroci indiscriminati di razze. Altre comuni minacce alla diversità genetica animale sono il crescente utilizzo di razze non autoctone, politiche e istituzioni che regolano il settore zootecnico deboli, il declino dei tradizionali sistemi di produzione animale, e l'abbandono delle razze ritenute non sufficientemente competitive.

L’Europa, con incluso il Caucaso, registra in termini assoluti il maggior numero di razze a rischio insieme al Nord-America.  Entrambe le aree sono caratterizzate da industrie del bestiame altamente specializzate che tendono a utilizzare per la produzione solo un piccolo numero di razze.  La diversità genetica fornisce la materia prima agli agricoltori e ai pastori per migliorare le loro razze e riuscire ad adattare le popolazioni di bestiame ad ambienti ed esigenze in fase di cambiamento. «Per migliaia di anni, gli animali domestici, pecore, galline e cammelli, hanno contribuito direttamente ai mezzi di sussistenza e alla sicurezza alimentare di milioni di persone - ha affermato il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva – Tra essi vi sono circa il 70% dei poveri rurali di oggi. La diversità genetica è un prerequisito per l'adattamento alle sfide future», secondo il direttore generale, che ha aggiunto che il rapporto «sosterrà un rinnovato impegno per garantire che le risorse genetiche animali vengano utilizzate e sviluppate per promuovere la sicurezza alimentare globale, e rimanere disponibili per le generazioni future».

Tra le sfide con cui si dovrà fare i conti, vi sono i cambiamenti climatici, l’emergere di malattie animali, una crescente pressione sulla terra e sulle risorse idriche, l’instabilità dei mercati, tutti elementi che rendono più importante che mai garantire che le risorse genetiche animali siano preservate e impiegate in modo sostenibile. Attualmente, vengono utilizzati in agricoltura e nella produzione alimentare circa 38 specie e 8.774 razze diverse di uccelli e mammiferi domestici.

Alla nuova valutazione globale delle risorse genetiche animali, che viene quasi un decennio dopo la prima fatta nel 2007, hanno partecipato 129 i paesi. «I dati che abbiamo raccolto suggeriscono che c’è stato un miglioramento nel numero di razze a rischio rispetto alla prima valutazione - spiega Beate Scherf, esperta di produzione animale presso la Fao e co-autrice del rapporto - E i governi nell’insieme hanno sicuramente intensificato gli sforzi per fermare l'erosione genetica e gestire in modo più sostenibile le razze nazionali di bestiame».

Lo studio rileva che i governi sono sempre più consapevoli dell'importanza di utilizzare e sviluppare in modo sostenibile le risorse genetiche del bestiame. Quando la Fao ha pubblicato la prima valutazione globale nel 2007, meno di 10 paesi avevano istituito una banca genetica,  oggi sono 64, e altri 41 paesi stanno progettando di istituirne una.  E questi sforzi stanno dando buoni frutti: «Nel corso dell'ultimo decennio, molti paesi in Europa hanno fatto grossi investimenti nella costruzione di sistemi informativi condivisi e in banche genetiche come misure di sicurezza», fa notare la Scherf. Collaborazioni regionali come il nuovo Network Europeo di Banche Genetiche (Eugena) sono fondamentali per gestire e migliorare le razze in futuro e dovrebbero essere sostenute dalla conservazione in situ, nel loro habitat naturale, di animali vivi.  La conservazione in situ riconosce anche il valore culturale e ambientale di mantenere in vita popolazioni di differenti razze animali.  Circa 177 paesi inoltre hanno nominato Coordinatori Nazionali e 78 hanno istituito gruppi consultivi multilaterali per aiutare gli sforzi nazionali a gestire meglio le risorse genetiche animali.

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Da motore a scoppio ad auto elettrica: nella normativa italiana arriva il retrofit

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auto elettrica 1Dal ieri (26 gennaio) il retrofit, ovvero la possibilità di trasformare auto con motore a scoppio in auto elettriche è diventata una normativa, un successo italiano in quanto unico nel suo genere in Europa. È il costante lavoro di eV-Now!, insieme a una rete di partner di alto livello come EnergoClub Onlus, Confartigianato Treviso e Marca Trevigiana, che oggi finalmente trasformare un'auto da benzina ad elettrica non è più un'operazione da fare di nascosto nel proprio garage, dovendo poi girare con la targa prova: vince la prospettiva di diffusione su scala nazionale con la creazione di un'industria diffusa.

Ed è proprio il concetto di industria diffusa a fare la differenza rispetto alle poche trasformazioni di auto che fino ad oggi sono state effettuate nel nostro paese, un’industria formata da piccolissime e piccole imprese artigiane che tutti abbiamo sottocasa: le officine.

Oggi il meccanico è diventato "meccatronico" per tenersi al passo con l'innovazione a bordo delle vetture, sempre più ibride, ma l'obiettivo del gruppo di lavoro eV-Now! - Confartigianato è stato quello di creare un tessuto di competenze e stakeholder senza trascinarsi i costi, le complicazioni e la poca flessibilità di nuove industrie ed anche in questo dunque l'ottica è stata quella del retrofit: recuperare qualcosa che esiste e funziona - officine e manualità italiane - per insegnare loro a trasformare un'auto, rendendola elettrica.

«Se anche il retrofit su scala nazionale non dovesse prendere piede, avremmo formato alla nuova mobilità migliaia di professionisti, in grado di operare sui nuovi veicoli ibridi e sui sempre più numerosi veicoli elettrici, ampliando le proprie competenze al motore elettrico e all'elettronica di potenza, all'energia rinnovabile, alle infrastrutture di ricarica. La rete delle associazioni di categoria oggi può contare su oltre 30mila meccatronici in tutta Italia, questa è una vera e propria rete capillare che - correttamente direzionata - può fare la differenza in tutto il settore dei veicoli elettrici, inclusa l'infrastruttura di ricarica.  È quello che assieme a Confartigianato ed EnergoClub stiamo preparando in queste settimane», queste le parole del presidente di eV-Now!, Daniele Invernizzi, a lato dell'incontro tenuto in Regione Lombardia, forte sostenitore e promotore in questi anni del retrofit attraverso Silvana di Matteo, con la quale eV-Now! e Confartigianato stanno programmando tutta una serie di iniziative ed azioni concrete sul mondo del retrofit.

di eV-Now! per greenreport.it

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Gli iraniani: «Successo storico la visita di Rohani in Italia»

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Rohani ConfindustriaIn Iran le polemiche italiane sulla copertura delle statue nude per non urtare la sensibilità islamica del presidente Hassan Rouhani sono state completamente ignorate, così come le sporadiche, quanto giuste, proteste contro la repressione dei dissidenti politici e per le molte condanne a morte comminate dalla Repubblica islamica.

La visita di Rohani in Italia viene definita senza mezzi termini «storica» dai media iraniani e si prende atto con piacere che il primo ministro italiano Matteo Renzi ha annunciato che «nei prossimi mesi» visiterà l’Iran. Oggi  Rouhani è volato in Francia, ma i suoi incontri con  il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Renzi sono stati politicamente ed economicamente molto fruttuosi, mentre quello con Papa Francesco è stato molto significativo dal punto di vista religioso, con un chiaro avvicinamento tra Chiesa cattolica ed Islam sciita su alcune questioni, compresa quella siriana.

La radio internazionale iraniana Irib sottolinea che «ammontano a circa 17 miliardi di euro i contratti firmati da aziende italiane e iraniane durante la permanenza di Rouhani in Italia, prima tappa di un tour europeo a circa due settimane dalla rimozione delle sanzioni in seguito al recente accordo sul nucleare raggiunto da Teheran e dalle potenze mondiali».

Intervenendo al Business forum Italia-Iran, organizzato da un’euforica Confindustria, Rouhani ha invitato l'Italia a guardare a Teheran: «Siamo pronti ad accogliere investitori stranieri nel nostro Paese... e tecnologie che vengono dall'estero». L’Iran si propone come «centro di un mercato regionale molto ampio e punta ad esportare almeno il 30% della produzione iraniana».

La vista di imprenditori e politici che facevano la fila per stringere la mano di quello che fino a pochi mesi fa era considerato il presidente di uno Stato canaglia e finanziatore di organizzazione ancora incluse nella lista nera  delle organizzazioni terroristiche da Usa e Ue, ricordava sotto certi aspetti i bei tempi di Gheddafi. Ma la strategia politico/diplomatica della Repubblica islamica iraniana sembra molto più solida di quella del dittatore amico di Berlusconi. Rouhani si è fatto accompagnare in Italia da circa 120 tra imprenditori e rappresentanti istituzionali, non da uno stuolo di amazzoni e cavalli, non si è attendato davanti al Colosseo con Berlusconi e hostess convertite, ma ha sottolineato con forza l'importanza di «sviluppo e occupazione» per combattere l'estremismo: «La disoccupazione crea soldati per i terroristi. Se tutti vogliamo avere un mondo privo di violenze, una delle strade da percorrere è lo sviluppo economico e parallelamente lo sviluppo culturale».

Il nostro ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, incontrando il suo collega iraniano Mohammad Javad Zarif, ha detto che «la soluzione della questione nucleare consente di rilanciare la nostra partnership politica, commerciale e degli investimenti». Gentiloni e Zarif hanno discusso dei negoziati per uscire dalla guerra siriana, della situazione in Libia, sempre più precaria nonostante l’accordo tra i due governi rivali, e sulla lotta congiunta al traffico di droga e per la tutela dei diritti umani, argomento quest’ultimo sul quale molte associazioni pensano che Teheran abbia più di un grosso problema, ma che non sembra sia stato molto “stressato” durante la trionfale visita italiana di Rohani. Anzi, Gentiloni, facendo torto all’evidenza, alla storia e alle sanzioni degli ultimi anni, ha detto che «l’Italia ha sempre sostenuto il ruolo dell’Iran come protagonista regionale nella soluzione delle tensioni dell’area, a cominciare dalla crisi siriana». Zarif ha naturalmente incassato con piacere il cambiamento di linea e sottolineato «il ruolo di equilibrio dell’Italia nelle principali crisi internazionali».

Tutto si dimentica e tutto si perdona quando ci sono di mezzo colossali affari, gas e petrolio, per i quali si scatenano guerre senza fine e si stipulano paci che cancellano accuse e minacce. Davanti ai gongolanti imprenditori della nostra Confindustria, Rohani ha detto che «come per i negoziati sul nucleare, anche nell'economia dobbiamo intraprendere una collaborazione win-win, vincente per tutti: nella condizione regionale attuale, l'Iran è il Paese più sicuro e più stabile dell'intera regione». Forte il consenso e altrettanto forti gli applausi di chi, fino alla caduta del muro di Berlino, raccontava che capitalismo e democrazia erano una coppia inscindibile. Non era vero nemmeno prima, ma poi sono venute la globalizzazione, il turbo-capitalismo cinese, il neo-liberismo e la crisi della finanziarizzazione dell’economia e della politica… e nessuno ne parla più. Mentre il fallimento delle guerre petrolifere con la scusa di esportare la democrazia si arenato proprio nelle sabbie insanguinate dell’ex Arabia Felix, della Mesopotamia e del Golfo Persico.

E’ così che il presidente della Repubblica islamica dell’Iran, che dice ufficialmente che il capitalismo occidentale è sbagliato, può partecipare ad un  forum, organizzato in collaborazione con Ice e Confindustria, accompagnato da 6 ministri e da una delegazione di 120 imprenditori; rivolgendosi ai rappresentanti delle liberiste aziende italiane afferma che «la collaborazione sarà vincente. Dopo anni di sanzioni in Iran ci sono capacità da concretizzare, oggi ci sono spazi vuoti. Siamo pronti a accogliere investitori stranieri nel Paese e in questo quadro l’Italia ha una importanza particolare: abbiamo una buona storia di collaborazione con voi, e gli iraniani conoscono l’Italia e il vostro lavoro, si fidano degli italiani».

Poi l’ayatollah Rohani, considerato fino a ieri un esponente di un clero retrogrado e intollerante, si è permesso di dare una lezione di tolleranza religiosa a chi – molti tra coloro che lo ascoltavano – era elettore di un governo del quale facevano parte forze politiche dichiaratamente xenofobe ed anti-islamiche. «Il Corano ci insegna - ha spiegato Rohani - La chiesa, la sinagoga e la moschea una accanto all’altra. Anzi, che dobbiamo preservare prima la chiesa, poi la sinagoga, poi la moschea. Questa è la cultura della tolleranza che ci insegna il Corano».

Ma più che il Corano e il Vangelo faranno sicuramente il gas e il petrolio da esportare in Italia e le autostrade, le raffinerie e i porti da costruire in Iran.

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La scienza dei goal e la corruzione, nel calcio come in economia

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la scienza dei goal corruzioneOggi la classifica della corruzione percepita in ogni angolo del mondo, stilata ogni anno dal’ong Transparency international, è stata aggiornata. Ieri, la Procura di Napoli ha avviato una (nuova) mega-inchiesta che ha travolto il mondo del calcio, tirando in ballo 64 professionisti di peso nello sport più amato d’Italia: l’accusa stavolta è di evasione fiscale. Coincidenza? Sì, senza tema di smentita possiamo affermare che all’orizzonte non si intravede nessun complotto dietro la sequenza delle date. Ciò che invece è palese è la brutta figura guadagnata ancora una volta dal nostro Paese.

Secondo Transparency international l’Italia è penultima in Europa per corruzione percepita, e il nuovo scandalo calcistico non fa che rafforzare tale convinzione. Ma davvero esiste un rapporto tra i due fatti? Le osservazioni messe in fila da Carlo Canepa e Luciano Canova nel loro ultimo volume La scienza dei goal, appena pubblicato per Hoepli (sì, anche questa è una coincidenza), suggeriscono una via d’indagine per poter giungere a conclusioni fondate, e utili ben al di là dei confini segnati dal rettangolo di gioco.

Quella che potremmo chiamare l’economia della disonestà è un fondamentale quanto scivoloso terreno d’indagine per accademici di tutto il mondo; uno degli approcci più promettenti consiste nel ricreare in laboratorio situazioni dove la corruzione possa proliferare (Dan Ariely è un maestro in questo), e studiarne i risultati.

«È necessario – spiegano ne La scienza dei goal i due autori – trovare delle attività facilmente confrontabili, che diano luogo a risultati certi e facilmente interpretabili, dai quali sia possibile evincere il vantaggio della corruzione». Da questo punto di vista, il calcio rappresenta una laboratorio naturale di eccezionale valore. Già il premio Nobel per l’economia osservava che «il calcio offre un setting sperimentale ideale per testare le teorie delle scienze sociali e dell’economia in particolare, come quella dei mercati efficienti e delle influenze sociali sul comportamento». Il mondo del pallone – dettagliano ancora Canepa e Canova – si offre infatti come «una fonte di dati statistici privilegiata: innanzitutto, perché in tutto il mondo le regole del gioco sono sempre le stesse e ciò rende facilmente confrontabili contesti anche molto diversi tra loro da un punto di vista culturale. Secondariamente, perché i risultati e le prestazioni, più che per qualsiasi altra attività, sono oggettivi e misurabili, il che non dà adito a distorsioni nei risultati delle stime stesse».

I risultati d’indagine scientifica che si sono accumulati nel tempo, dei quali La scienza dei goal offre un succoso compendio, sono talvolta davvero sorprendenti. Intanto, la propensione a truccare partite in un campionato di calcio risulta correlato con l’Indice della corruzione percepita elaborato da Transparency international per il Paese oggetto d’analisi; e in Italia, come la cronaca conferma, i conti parrebbero tornare. Nonostante la corruzione assai diffusa nel mondo del calcio (e nel resto della società) si osserva però come questa alla fine fine porti a ben pochi vantaggi economici, almeno nel mondo del pallone: studiando gli effetti della nostrana Calciopoli, ad esempio, i ricercatori hanno individuato una consistente riduzione degli spettatori (-16%) per le squadre coinvolte, con un conseguente calo di introiti.

Insomma, a dispetto delle apparenze lo studio del calcio sembra avere davvero molto da offrire dal punto di vista dell’economia e delle altre scienze sociali. «I campionati di calcio – riassumono Canepa e Canova – possono essere utilizzati, cum grano salis ovviamente, quale contesto in vitro dove poter identificare il comportamenti disonesti, stimarne la grandezza e conseguentemente, generalizzarne i risultati anche ad altre sfere». Ne La scienza dei goal gli esempi si moltiplicano, spaziando da un’analisi sugli effetti degli incentivi economici – nel calcio come nel resto della società – o delle disuguaglianze di reddito sulle performance (individuali o collettive), sul ruolo dell’allenatore come del grande manager, sulla discriminazione nel calcio come sulla diffidenza verso lo straniero che popola le nostre strade. Un campo d’applicazione vastissimo, insomma, dal quale anche la green economy potrebbe trarre inaspettati spunti d’indagine. D’altronde, come osservano Canepa e Canova citando Simon Kuper, «il calcio è un gioco, ma anche un fenomeno sociale. Quando miliardi di persone si preoccupano di un gioco, esso cessa di  essere solo un gioco».

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Ferme a 3 minuti alla mezzanotte le lancette dell’orologio della fine del mondo

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Orologio fine del mondoLo Science and Security Board del The Bulletin of the Atomic Scientists  ha annunciato  che la lancetta dei minuti del Doomsday Clock, l’orologio della fine del mondo, restano ferme a 3 minuti dalla mezzanotte, visto che i recenti progressi fatti con l’accordo sul nucleare iraniano e la Conferenza delle parti Unfccc di Parigi, «Rappresentano solo piccoli punti luminosi in una situazione mondiale più oscura e colma di potenziali catastrofi».

La dichiarazione che accompagna il bollettino sul Doomsday Clock sottolinea che «Tre minuti (alla mezzanotte) sono davvero pochi. Troppo vicino alla fine». Lo Science and Security Board del The Bulletin of the Atomic Scientists  chiarisce perché ha deciso di non spostare le lancette del Doomsday Clock nel 2016: «Questa decisione non è una buona notizia, ma è espressione dello sgomento per il fatto che i leader mondiali continuano a non riuscire a concentrare i loro sforzi e l’attenzione del mondo sulla riduzione del pericolo estremo rappresentato dalle armi nucleari e dal cambiamento climatico. Quando definiamo questi pericoli esistenziali, è quel che esattamente intendiamo. Minacciano l'esistenza stessa della civiltà e, pertanto, dovrebbe essere in testa all’ordine del giorno per dei leader che hanno a cuore i loro elettori ei loro Paesi».

La decisione di lasciare le lancette sui 3 minuti alla mezzanotte è stata presa dallo Science and Security Board insieme al Board of Sponsors, dl quale fanno parte 16 premi Nobel. Le lancette del Doomsday Clock sono state spostate a 3 minuti prima della mezzanotte il 22 gennaio 2015 e rappresentano il più alto livello di pericolo per la sopravvivenza degli esseri umani sul nostro pianeta dal 1983, al culmine della Guerra Fredda.

Pur riconoscendo i notevoli progressi che rappresentano l’accordo sul nucleare iraniano e l'accordo sul  clima di Parigi, il Bulletin of the Atomic Scientists  avverte che questi passi in avanti sono stati in gran parte vanificati dal crescere di altre tensioni planetarie: «Anche se è stato realizzato l'accordo con l’Iran, le tensioni tra gli Stati Uniti e La Russia sono salite a livelli che ricordano i periodi peggiori della guerra fredda.  Il conflitto in Ucraina e in Siria continua, accompagnata da pericolose spacconate e rischio calcolato con la  Turchia, membro della NATO,che è stata coinvolta nell'abbattimento di un aereo da guerra russo in Siria, il direttore di un’agenzia di stampa statale ha fatto dichiarazioni sulla trasformazione degli Stati Uniti in cenere radioattiva, e la NATO e la Russia riposizionano i loro assets  militari e continuano ad effettuare significative esercitazioni militari. Washington e Mosca continuano ad aderire alla maggior parte degli accordi sul controllo degli armamenti nucleari già esistenti, ma gli Stati Uniti, la Russia e altri Paesi con armi nucleari sono impegnati in programmi per modernizzare i loro arsenali nucleari, il che suggerisce che abbiano intenzione di mantenere e conservare la disponibilità delle loro armi nucleari almeno per decenni, nonostante i loro impegni, codificati nel Trattato di non proliferazione nucleare, di perseguire il disarmo nucleare».

Per quanto riguarda il cambiamento climatico il Bulletin sottolinea: «Anche se può essere promettente,  l'accordo sul clima di Parigi è arrivato verso la fine di anno più caldo della Terra, un record dell'aumento della temperatura globale rispetto ai livelli pre-industriali, superando un grado Celsius».

Gli altri sviluppi positivi sul clima citati nella dichiarazione includono l'enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, il movimento per disinvestire dai combustibili fossili, i nuovi progressi tecnologici nei sistemi eergetici e la formazione di governi più rispettosi del clima in Canada e Australia. Ma anche questi progressi potrebbero essere vanificati dal ritorno indietro del nuovo governo conservatore britannico sulle politiche climatiche e dall’intransigenza ecoscettica del partito repubblicano negli Stati Uniti, «che si ritrova solo al mondo nel non riuscire a riconoscere che anche il cambiamento climatico causato dall'uomo è un problema».

La dichiarazione esprime preoccupazione anche per quello che definisce il «nuclear power vacuum» in tutto il mondo: «La comunità internazionale non ha messo a punto piani coordinati per affrontare costi, sicurezza, gestione delle scorie radioattive e la proliferazione, le  sfide che pone l'espansione nucleare su larga scala» e aggiunge che «A causa di questi problemi, negli Stati Uniti e in altri Paesi, l'attrattiva del nucleare come alternativa ai combustibili fossili è diminuita, nonostante la chiara necessità di energia ad emissioni zero di carbonio nell'era dei cambiamenti climatici».

Rachel Bronson, direttore esecutivo ed editore del Bulletin of the Atomic Scientists, ha evidnziato che «L'anno scorso, lo Science and Security Board  del Bulletin aveva spostato il Doomsday Clock in avanti fino a 3 minuti alla mezzanotte, osservando che “La probabilità di una catastrofe globale è molto alta e le azioni necessarie per ridurre i rischi di catastrofe devono essere prese al più presto”. Tale probabilità non è stata ridotta. L'orologio fa tic tac. Il pericolo globale incombe. Tutti i leader devono agire, immediatamente».

Lawrence Krauss, presidente dei Bulletin Board of Sponsors, uno dei più famosi fisici statunitensi che insegna all’Arizona State University, ha detto che «Da quando abbiamo spostato l’orologio in avanti un anno fa, ci sono stati viluppi diversi. A dispetto di qualche notizia positiva, le principali sfide presentate ai governi dal  Bulletin , da allora non sono state affrontate, anche se le sfide globali complessivi ce dobbiamo affrontare sono diventate più urgenti. L'orologio riflette la nostra stima che il mondo sia più vicino al baratro di come lo fosse nel 1983, quando le tensioni russo-americane erano le più glaciali da  decenni».

A bloccare le lancette dell’orologio della fine del mondo è stato anche l recente test nucleare della Corea del nord, mentre le crescenti tensioni regionali aumentano i rischi che qualcuno decida di utilizzare davvero un’arma atomica o di attaccare impianti nucleari.

Sivan Kartha, del Bulletin Science and Security Board e esperto di cambiamento climatico dello Stockholm Environment Institute, è convinto che «Gli impegni volontari di Parigi per limitare le emissioni di gas serra non sono sufficienti per assolvere il compito di evitare drastici cambiamenti climatici Questi passaggi incrementali devono in qualche modo evolvere in un cambiamento fondamentale nei sistemi energetici mondiali, necessario se, in ultima analisi, il cambiamento climatico deve essere arrestato».

La dichiarazione del Bulletin identifica alcune azioni ritenute più urgenti: Ridurre drasticamente le proposte di a spesa per i  programmi di ammodernamento delle armi nucleari.  Ridare energia al processo di disarmo, con un focus sui risultati. Impegnare la Corea del Nord a ridurre i rischi nucleari. Follow-up sull’accordo di Parigi con le azioni che riducano  drasticamente le emissioni di gas serra e mantenere la promessa di Parigi di mantenere il surriscaldamento sotto dei 2 gradi centigradi. Affrontare subito il problema dei rifiuti nucleari commerciali. Creare istituzioni destinate specificamente ad esplorare ed affrontare gli abusi potenzialmente catastrofici delle nuove tecnologie.

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